Caro
Nicola, pace. Ebrei 2,3 parla di trascuratezza della salvezza. Un credente può
trascurarla? Grazie. {Ivano Acunto; 19-07-2011} |
Non basta salire sull'unico ponte esistente, ma
bisogna attraversarlo pure, per giungere dall'altra parte e mettersi
al sicuro! |
La salvezza
è un dono di Dio, ma vivere nella salvezza è compito del credente. Si può vivere
nel «paese di Bengodi», ma stare a stecchino; si può avere la possibilità di
crescere nella grazia, ma si rimane nani.
Tuttavia, nel
brano in questione l’autore sta ancora evangelizzando i suoi connazionali
ebrei, che sebbene avessero appetito la grazia in Cristo, ancora non avevano
accettato Gesù quale Messia, ma rimanevano sulla soglia, facendo i pendolari fra
il giudaismo storico (antico patto) e il nuovo patto. Dopo aver presentato la
superiorità di Gesù in quanto Figlio di Dio su varie persone e istanze (Eb
1), l’autore passò all’appello espresso con un «noi» (noi Ebrei). Si può
aver udito le cose, ma non vi ci si pone mente (Eb 2,1). Dio non farà sconti
a nessuno, se uno trascura di accettare «una così grande salvezza»
(vv. 2s). Essa è stata annunziata dal Signore Gesù, confermata dai testimoni
(specialmente dagli apostoli) e sostenuta da Dio stesso elargendo segni,
prodigi, opere straordinarie e doni dello Spirito. A Colui, che ha gustato la
morte per tutti, Dio ha sottoposto il mondo a venire (vv. 5-9).
L’autore ribadì che il Messia era
diventato veramente un uomo e aveva partecipato in tutto e per tutto
alla natura umana e all’identificazione col suo popolo d'Israele. Aveva quindi
preso su di sé l’umanità, patendo e soffrendo, tanto da diventare così «un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose
appartenenti a Dio», aveva fatto l’espiazione dei peccati del suo popolo e
d’esso era diventato mediatore e soccorritore (vv. 10-18).
Ciò che
l’autore fece seguire
(superiorità su Mosè, sull’antico patto, sui sacerdoti dell’AT), era tutto un
tentativo di creare un convincimento negli Ebrei perché entrassero nel
nuovo patto e, mediante il nuovo sommo Sacerdote, accedessero al «trono
della grazia» (Eb 4,14ss); infatti è qui che il sommo Sacerdote, Gesù
Messia, «si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli»
(Eb 8,1; 12,2). Per accettare Gesù quale Messia, gli Ebrei, che avevano appetito
la grazia, dovevano decidersi fra giudaismo storico (antico patto) e il
nuovo patto, uscendo dagli ordinamenti e dalle tradizioni dal primo,
anche a costo di essere esclusi dagli altri Ebrei e addirittura
perseguitati: «Gesù, per santificare il popolo col proprio sangue, soffrì
fuori della porta. Usciamo quindi fuori del campo e andiamo a lui, portando il
suo vituperio» (Eb 13,12).
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1. {Nunzia Sasso}
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Contributo: Io non sono d’accordo, perché secondo me
quelli, a cui lo scrittore si rivolge, sono già convertiti a Cristo;
basta leggere Ebrei 3,1: «Perciò, fratelli santi, che siete partecipi
d’una celeste vocazione». {24-12-2011}
▬
Risposta 1 (Nicola Martella): L’appellativo «fratelli» non significa nulla, visto che si trattava di
un’epistola agli Ebrei nel loro complesso e non solo a cristiani ebrei.
Nel libro degli Atti gli apostoli si rivolsero ai
loro correligionari ebrei con l’appellativo di «fratelli» (Pietro: At 2,29;
3,17; Stefano: At 7,2 + padri; Paolo: At 13,26.38; 22,1 + padri; v. 5; 23,1.5s;
28,17; cfr. v. 21); e viceversa anche i Giudei chiamavano «fratelli» gli
apostoli (At 2,37; 13,15). Il cristianesimo è nato in seno al giudaismo; e gli
apostoli non intendevano fondare un’altra religione, ma volevano che gli Ebrei
riconoscessero in Gesù di Nazareth il loro Messia. A Gerusalemme i conduttori
dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono, che
hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20).
Quindi, bisogna
intendere anche Ebrei 3,1 in tale logica: l’autore ebreo si rivolse agli
Ebrei come «fratelli», per guadagnarli a ciò, che egli stava dicendo loro.
▬
Replica (Nunzia Sasso): No, no, questa epistola è
rivolta agli ebrei credenti e [l’autore] dice: «Stiamo fermi nella fede,
che professiamo...» (4,14). {25-12-2011}
▬
Risposta 2 (Nicola Martella): Ebrei 4,14
verso recita letteralmente: «Teniamoci fermi alla
confessione [di fede]». Probabilmente ciò significava tanto quanto
«afferriamo saldamente la professione [di fede]». Ciò significa che non tutti i
destinatari dell’epistola fossero
già
entrati nel nuovo patto e ne professassero
la fede. Tanto più che egli invitò ancora ad
accostarsi «con piena fiducia al trono
della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia» (v. 16).
Non si può certo dire che chi deve ottenere ancora misericordia, grazia e
soccorso mediante il sommo Sacerdote, abbia già pienamente e fermamente
abbracciato la fede del nuovo patto.
Gli Ebrei a
cui, l’autore si rivolse, erano «pendolari» fra il giudaismo storico e
quello cristiano. Avevano appetito la grazia, ma il richiamo del giudaismo
classico con i suoi riti, le sue feste, la sua cultura era molto forte; facevano
un passo dentro e uno fuori della soglia. In pratica, non erano né carne e né
pesce. La stessa cosa avviene a tanti «aggregati» nel mondo evangelico:
conoscono la grazia, condividono le massime dottrine, ma rimangono con un piede
dentro e uno fuori rispetto alla religione corrente e alla cultura dominante,
verso cui sentono sempre una grande attrazione. Con le labbra si dichiara una
cosa, con la vita un’altra.
Gli Ebrei, che confessavano Gesù quale Messia,
erano marginalizzati dagli altri Ebrei e spesso cacciati fuori delle
sinagoghe o addirittura angariati e perseguitati (così fecero Saulo e i suoi
accoliti); ciò significava anche la perdita di privilegi e di vantaggi
all’interno del giudaismo. L’autore della epistola agli Ebrei cercò di
convincere proprio tali esitanti della superiorità di Cristo (su angeli,
Mosè, ecc.), della grazia (sulla legge) e del nuovo patto (su quello antico).
2. {Stefano Ferrero}
▲
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Contributo:
1. L’epistola agli Ebrei è rivolta a cristiani nati di nuovo di
provenienza ebraica, che erano ancora influenzati dalla loro cultura di origine.
Questa epistola come tutto il NT è scritto con lo scopo primario di
edificare i credenti e con lo scopo solo secondario di evangelizzare i
non credenti. Le lettere erano indirizzate alle chiese, non a giudei e gentili.
2. Il
richiamo al non trascurare la salvezza e le possibilità di caduta descritte in
Eb 6 e in Eb 10 non significano che chi è nato di nuovo possa perdere la
salvezza, ma che la salvezza, che si è ricevuta in dono, deve essere
accompagnata dalla santificazione (cfr. Eb 12,14). Un cristiano che continua a
non santificarsi, dimostra di non essere mai nato di nuovo e, quindi, di
essere ancora perduto. Così come è vero che la salvezza non si perde, è vero che
è molto facile credere di averla senza che ci sia santità e quindi illudersi
di essere dei salvati. Di conseguenza così come è vero che le opere non
salvano, è vero che chi non fa opere non è mai stato davvero salvato (cfr. Ef
2,10). Di conseguenza chi insegna la perdita della salvezza, pur essendo in
errore sul piano teologico, molte volte è più corretto sul piano pastorale di
chi insegna la sicurezza della salvezza... dato che troppe volte chi non è mai
nato di nuovo si adagia in una falsa sicurezza. {26-12-2011}
▬
Risposta (Nicola Martella): Ho numerato le parti per rispondervi meglio.
1.
Faccio presente che il termine ekklesia «assemblea, raduno», si
trova raramente in questa epistola (solo tre volte). In Ebrei 2,22 riguarda l’assemblea
celeste e un verso dopo riguarda «l’assemblea
dei primogeniti», probabilmente i credenti giudei (cfr. 2,12 assemblea cultuale
dell’antico Israele). L’autore disse ai suoi destinatari «voi siete venuti»,
tra altre cose a ciò e anche a «Gesù, il mediatore del nuovo patto» (2,24).
Tuttavia, essi non avevano ancora accettato di appartenere a ciò, visto che
subito dopo aggiunse: «Guardate di non rifiutare Colui che parla;
perché, se quelli non scamparono, quando rifiutarono Colui, che rivelava loro in
terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a
Colui, che parla dal cielo» (v. 25).
Quindi, senza un particolare sforzo culturale e
teologico, questa speciale epistola non può essere semplicemente compresa
con gli occhi di gentili convertiti e di credenti della chiesa, che non
appartengono a un popolo storico e a una religione biblica pluri-millenaria,
tanto più che si trovano a due millenni di distanza dai mutamenti
storico-teologici di quel tempo e sono abituati a vedere tutto in bianco e in
nero. Il giudaismo (anche quello cristiano) era un fenomeno culturale e
religioso alquanto complesso.
Quindi, è difficile sostenere e dimostrare che
questa epistola sia stata indirizzata principalmente alle chiese e che
avesse come scopo primario quello di edificare i credenti.
2.
Nella cura pastorale ho incontrato non pochi «credenti», che avevano accettato
Gesù come Salvatore, ma non come Signore della loro vita. Ci si
può immaginare come appariva la loro vita sul piano dell’etica e della
santificazione. A volte, quando li mettevo dinanzi alla volontà di Dio e
chiedevo loro di sottomettersi a Cristo quale loro Signore, ubbidendo a
Lui in ciò, non sempre erano disposti a farlo. Erano «credenti», ma non
rigenerati. Aderivano al facile e falso «evangelo a poco prezzo»,
quello che tranquillizza, ma non salva né trasforma. Avevano appetito la grazia,
ma non l’avevano mai accettata con un patto. Tali «credenti» poi sono
quelli che si «convertono» a ogni conferenza o tenda, senza mai entrare nella
vita. Non sono né carne e né pesce e spesso rimangono solo degli «aggregati».
Affermano di aver perso la salvezza (che non hanno mai avuto) e poi credono di
riottenerla al prossimo appello di un famoso predicatore.
Nel
giudaismo cristiano d’allora, di cui si parla nella lettera agli Ebrei, di
tali «credenti» non rigenerati e continuamente «pendolari» fra il
giudaismo storico e quello cristiano dovevano essercene stati parecchi, visto
che l’autore li mise seriamente in guardia e spese un’intera epistola per
convincerli della superiorità assoluta di Cristo su tutto e tutti.
3. {Nunzia Sasso}
▲
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Contributo:
Le Scritture c’insegnano che la salvezza si può perdere, se non si
persevera nella fede fino alla fine. Certamente le opere devono
accompagnare la fede, altrimenti la fede è morta. Le opere buone vanno
praticate, per esse si viene premiati dal Signore.
E ripeto, lo scrittore della lettera agli Ebrei si
rivolge a dei credenti rigenerati dal sangue di Cristo. {27-12-2011}
▬
Osservazioni
(Stefano Ferrero): In Ebrei
6,1-8 l’autore parla di falsi credenti, mai rigenerati, che hanno fatto
apostasia, e in
Ebrei 6,9 dice: «Tuttavia, carissimi, benché parliamo così,
siamo persuasi riguardo a voi di
cose migliori e attinenti alla
salvezza...». {27-12-2011}
▬
Replica (Nunzia Sasso): Gli apostati sono
coloro, che hanno abbandonato la fede, ciò vuol dire che c’è stato un tempo in
cui hanno creduto, pertanto erano stati rigenerati dal sangue dell’Agnello.
{27-12-2011}
▬
Risposta (Nicola Martella):
La perdita della salvezza è fuori tema in questo tema di discussione.
Ebrei 6,1-8 non parla di apostati, ma di Giudei simpatizzanti con
cristianesimo, che avevano appetito la grazia, erano stati illuminati dallo
Spirito Santo, ma non avevano fatto il passo decisivo di entrare nel nuovo
patto. La salvezza era qualcosa ancora in prospettiva (v. 9), e, sebbene fossero
in qualche modo ravveduti e zelanti, mancava loro ancora la «pienezza
della speranza» (v. 11), che bisognava afferrare ancora saldamente (v. 18) per
entrare di là dalla cortina, dove si trovava Gesù, il sommo Sacerdote (vv.
18ss). Erano, quindi, credenti ma non ancora rigenerati. Chi ha lavorato alla
costruzione di nuove chiese, ne ha incontrati tanti di tali «credenti di
paglia», che all’inizio hanno un grande zelo e fanno un gran fuoco, ma che
dopo poco tempo sono più ciechi, sordi e freddi di prima.
Un trattato
teologico del genere, intento a mostrare la superiorità di Gesù Messia su
tutti e del nuovo patto sul vecchio, non venne scritto a coloro, che avevano già
capito e accettato Gesù di Nazareth come Messia, ossia a Giudei credenti
rigenerati e già stanti a pieno titolo nel patto di grazia, ma a coloro che
stavano fuori della salvezza in Cristo Gesù e ai titubanti e agli
indecisi, che stavano continuamente con un piede dentro e uno fuori, che
erano attratti dalla grazia del nuovo patto, ma che erano prigionieri della
cultura e della struttura sociale del giudaismo. Il compito di tale autore era
specialmente apologetico (difesa della verità e della superiorità del
nuovo patto rispetto a quello vecchio) ed evangelistico (tentativo di
guadagnare alla fede in Gesù Messia i propri connazionali e correligionari
giudei). Chiaramente tutto ciò, una volta scritto, è servito pure per
rafforzare la fede dei Giudei cristiani in Gesù Messia, sia per essi stessi,
sia per dare loro argomenti nella difesa della verità verso i Giudei storici.
L’autore non
si rivolse a presunti apostati, ma a coloro che ancora potevano andare al
trono della grazia per ottenere salvezza in Gesù Messia. Perché dovrebbe essere
così sorprendente che Dio abbia rivolto un intero trattato teologico o tutta un’epistola
al suo intero popolo Israele? Dovrebbe Dio dedicarsi storicamente solo ai
rami innestati (i Gentili) e trascurare proprio i rami naturali (gli Israeliti),
progenie storica d’Abramo? Sarebbe proprio un Dio singolare. La salvezza viene
dai Giudei (Gv 4,22) e a loro per primi fu annunciata (At 3,26; 13,46).
Faccio notare
che, sebbene la cosiddetta «lettera ai Romani» fosse anch’essa un
trattato teologico con annesse introduzione e conclusione d’occasione, queste
parti mancavano del tutto nella lettera agli Ebrei, che quindi non era
indirizzata ad alcuna chiesa. Inoltre, l’autore della lettera ai Romani si
rivolse a due destinatari distinti: Giudei (Rm 2,11ss) e Gentili (Rm 1,6.13;
11,13). Anche qui lo scopo era di portare ambedue queste categorie alla
salvezza, che è in Cristo Gesù, e di rafforzare la fede di coloro, che erano già
entrati nel nuovo patto. La lettera agli Ebrei è in pratica l’unico vero
trattato teologico a sé nell’intero NT; l’unica nota circostanziata si trova
negli ultimi tre versetti, anzi, in fin dei conti, solo in Eb 13,23 riguardo a
Timoteo, anche lui Ebreo circonciso (At 16,1ss).
Come già detto, in
questo articolo non è in discussione la cosiddetta «perdita della
salvezza» né l’apostasia (locuzioni mai ricorrenti nell’epistola). Chi trascura
la salvezza (Ebrei 2,3), non ce l’ha mai avuta. Per favore, atteniamoci al tema!
Le mie convinzioni sul suggellamento con lo Spirito Santo per il giorno
della redenzione e, quindi, sulla capacità di Cristo di conservare il rigenerato
fino alla fine, le ho espresse altrove; non credo alla perdita della salvezza
per i rigenerati (i «credenti» la perdono, non avendocela mai avuta veramente),
ma questo non è qui oggetto di discussione.
4. {}
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5. {}
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6. {}
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7. {}
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8. {}
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9. {}
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10. {}
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11. {}
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12. {Vari
e brevi}
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Salvatore Paone: Ottimo esempio, Nicola, non ti smentisci mai... {24-12-2011}
■
Pietro Calenzo: Ottima esegesi, ottima tematica, magnifico studio. Concordo pienamente. {24-12-2011}
► URL di origine:
http://diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Come_scamperemo_EdF.htm
23-12-2011; Aggiornamento:
30-12-2011 |