«Io prenderò il diritto per livello, e la giustizia per piombino» (Isaia 28,17).

La fede che discerne la ferma verità in un tempo mutevole

«Diakrisis»: Discernimento — «Credere e comprendere»

Credere e comprendere

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Crescita personale

Cultura e società

Discepolato e devozione

Dottrine bibliche

Etica cristiana

Problemi e soluzioni

Religioni e confessioni

Scienza e fede

▼ Vai a fine pagina

 

 

Salvezza

Vai ai contributi sul tema

Norme di fair-play

 

 

Tutto ciò che serve per istruire il neofita nella sana dottrina e in una sana morale cristiana, per così orientarsi nell'insegnamento biblico di base, nella devozione e nel discernimento spirituale riguardo alle questioni che attengono alla fede biblica e al saggio comportamento nel mondo. È «vademecum» per chiunque voglia trasmettere la fede biblica.

La via che porta a Dio

Le basi della fede

La Sacra Scrittura

Dio

Creazione e caduta dell’uomo

Gesù Cristo

Lo Spirito Santo

La salvezza dell’uomo

Il cammino di fede

La chiesa biblica

Ordinamenti e radunamenti

L’opera della chiesa

Il diavolo

Le cose future

Aspetti dell’etica

■ Appendici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COME SCAMPEREMO NOI,

SE TRASCURIAMO UNA COSÌ GRANDE SALVEZZA?

 

 di Nicola Martella

 

Caro Nicola, pace. Ebrei 2,3 parla di trascuratezza della salvezza. Un credente può trascurarla? Grazie. {Ivano Acunto; 19-07-2011}

 

Non basta salire sull'unico ponte esistente, ma bisogna attraversarlo pure, per giungere dall'altra parte e mettersi al sicuro!

 

La salvezza è un dono di Dio, ma vivere nella salvezza è compito del credente. Si può vivere nel «paese di Bengodi», ma stare a stecchino; si può avere la possibilità di crescere nella grazia, ma si rimane nani.

     Tuttavia, nel brano in questione l’autore sta ancora evangelizzando i suoi connazionali ebrei, che sebbene avessero appetito la grazia in Cristo, ancora non avevano accettato Gesù quale Messia, ma rimanevano sulla soglia, facendo i pendolari fra il giudaismo storico (antico patto) e il nuovo patto. Dopo aver presentato la superiorità di Gesù in quanto Figlio di Dio su varie persone e istanze (Eb 1), l’autore passò all’appello espresso con un «noi» (noi Ebrei). Si può aver udito le cose, ma non vi ci si pone mente (Eb 2,1). Dio non farà sconti a nessuno, se uno trascura di accettare «una così grande salvezza» (vv. 2s). Essa è stata annunziata dal Signore Gesù, confermata dai testimoni (specialmente dagli apostoli) e sostenuta da Dio stesso elargendo segni, prodigi, opere straordinarie e doni dello Spirito. A Colui, che ha gustato la morte per tutti, Dio ha sottoposto il mondo a venire (vv. 5-9).

     L’autore ribadì che il Messia era diventato veramente un uomo e aveva partecipato in tutto e per tutto alla natura umana e all’identificazione col suo popolo d'Israele. Aveva quindi preso su di sé l’umanità, patendo e soffrendo, tanto da diventare così «un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose appartenenti a Dio», aveva fatto l’espiazione dei peccati del suo popolo e d’esso era diventato mediatore e soccorritore (vv. 10-18).

     Ciò che l’autore fece seguire (superiorità su Mosè, sull’antico patto, sui sacerdoti dell’AT), era tutto un tentativo di creare un convincimento negli Ebrei perché entrassero nel nuovo patto e, mediante il nuovo sommo Sacerdote, accedessero al «trono della grazia» (Eb 4,14ss); infatti è qui che il sommo Sacerdote, Gesù Messia, «si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà nei cieli» (Eb 8,1; 12,2). Per accettare Gesù quale Messia, gli Ebrei, che avevano appetito la grazia, dovevano decidersi fra giudaismo storico (antico patto) e il nuovo patto, uscendo dagli ordinamenti e dalle tradizioni dal primo, anche a costo di essere esclusi dagli altri Ebrei e addirittura perseguitati: «Gesù, per santificare il popolo col proprio sangue, soffrì fuori della porta. Usciamo quindi fuori del campo e andiamo a lui, portando il suo vituperio» (Eb 13,12).

 

Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

 

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

1. Nunzia Sasso

2. Stefano Ferrero

3. Nunzia Sasso

4.

5.

6.

7.

8.

9.

10.

11.

12. Vari e brevi

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Nunzia Sasso}

 

Contributo: Io non sono d’accordo, perché secondo me quelli, a cui lo scrittore si rivolge, sono già convertiti a Cristo; basta leggere Ebrei 3,1: «Perciò, fratelli santi, che siete partecipi d’una celeste vocazione». {24-12-2011}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): L’appellativo «fratelli» non significa nulla, visto che si trattava di un’epistola agli Ebrei nel loro complesso e non solo a cristiani ebrei.

     Nel libro degli Atti gli apostoli si rivolsero ai loro correligionari ebrei con l’appellativo di «fratelli» (Pietro: At 2,29; 3,17; Stefano: At 7,2 + padri; Paolo: At 13,26.38; 22,1 + padri; v. 5; 23,1.5s; 28,17; cfr. v. 21); e viceversa anche i Giudei chiamavano «fratelli» gli apostoli (At 2,37; 13,15). Il cristianesimo è nato in seno al giudaismo; e gli apostoli non intendevano fondare un’altra religione, ma volevano che gli Ebrei riconoscessero in Gesù di Nazareth il loro Messia. A Gerusalemme i conduttori dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono, che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20).

     Quindi, bisogna intendere anche Ebrei 3,1 in tale logica: l’autore ebreo si rivolse agli Ebrei come «fratelli», per guadagnarli a ciò, che egli stava dicendo loro.

 

Replica (Nunzia Sasso): No, no, questa epistola è rivolta agli ebrei credenti e [l’autore] dice: «Stiamo fermi nella fede, che professiamo...» (4,14). {25-12-2011}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Ebrei 4,14 verso recita letteralmente: «Teniamoci fermi alla confessione [di fede]». Probabilmente ciò significava tanto quanto «afferriamo saldamente la professione [di fede]». Ciò significa che non tutti i destinatari dell’epistola fossero già entrati nel nuovo patto e ne professassero la fede. Tanto più che egli invitò ancora ad accostarsi «con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia» (v. 16). Non si può certo dire che chi deve ottenere ancora misericordia, grazia e soccorso mediante il sommo Sacerdote, abbia già pienamente e fermamente abbracciato la fede del nuovo patto.

     Gli Ebrei a cui, l’autore si rivolse, erano «pendolari» fra il giudaismo storico e quello cristiano. Avevano appetito la grazia, ma il richiamo del giudaismo classico con i suoi riti, le sue feste, la sua cultura era molto forte; facevano un passo dentro e uno fuori della soglia. In pratica, non erano né carne e né pesce. La stessa cosa avviene a tanti «aggregati» nel mondo evangelico: conoscono la grazia, condividono le massime dottrine, ma rimangono con un piede dentro e uno fuori rispetto alla religione corrente e alla cultura dominante, verso cui sentono sempre una grande attrazione. Con le labbra si dichiara una cosa, con la vita un’altra.

     Gli Ebrei, che confessavano Gesù quale Messia, erano marginalizzati dagli altri Ebrei e spesso cacciati fuori delle sinagoghe o addirittura angariati e perseguitati (così fecero Saulo e i suoi accoliti); ciò significava anche la perdita di privilegi e di vantaggi all’interno del giudaismo. L’autore della epistola agli Ebrei cercò di convincere proprio tali esitanti della superiorità di Cristo (su angeli, Mosè, ecc.), della grazia (sulla legge) e del nuovo patto (su quello antico).

 

 

2. {Stefano Ferrero}

 

Contributo: 1. L’epistola agli Ebrei è rivolta a cristiani nati di nuovo di provenienza ebraica, che erano ancora influenzati dalla loro cultura di origine. Questa epistola come tutto il NT è scritto con lo scopo primario di edificare i credenti e con lo scopo solo secondario di evangelizzare i non credenti. Le lettere erano indirizzate alle chiese, non a giudei e gentili.

     2. Il richiamo al non trascurare la salvezza e le possibilità di caduta descritte in Eb 6 e in Eb 10 non significano che chi è nato di nuovo possa perdere la salvezza, ma che la salvezza, che si è ricevuta in dono, deve essere accompagnata dalla santificazione (cfr. Eb 12,14). Un cristiano che continua a non santificarsi, dimostra di non essere mai nato di nuovo e, quindi, di essere ancora perduto. Così come è vero che la salvezza non si perde, è vero che è molto facile credere di averla senza che ci sia santità e quindi illudersi di essere dei salvati. Di conseguenza così come è vero che le opere non salvano, è vero che chi non fa opere non è mai stato davvero salvato (cfr. Ef 2,10). Di conseguenza chi insegna la perdita della salvezza, pur essendo in errore sul piano teologico, molte volte è più corretto sul piano pastorale di chi insegna la sicurezza della salvezza... dato che troppe volte chi non è mai nato di nuovo si adagia in una falsa sicurezza. {26-12-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): Ho numerato le parti per rispondervi meglio.

     1. Faccio presente che il termine ekklesia «assemblea, raduno», si trova raramente in questa epistola (solo tre volte). In Ebrei 2,22 riguarda l’assemblea celeste e un verso dopo riguarda «l’assemblea dei primogeniti», probabilmente i credenti giudei (cfr. 2,12 assemblea cultuale dell’antico Israele). L’autore disse ai suoi destinatari «voi siete venuti», tra altre cose a ciò e anche a «Gesù, il mediatore del nuovo patto» (2,24). Tuttavia, essi non avevano ancora accettato di appartenere a ciò, visto che subito dopo aggiunse: «Guardate di non rifiutare Colui che parla; perché, se quelli non scamparono, quando rifiutarono Colui, che rivelava loro in terra la sua volontà, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a Colui, che parla dal cielo» (v. 25).

     Quindi, senza un particolare sforzo culturale e teologico, questa speciale epistola non può essere semplicemente compresa con gli occhi di gentili convertiti e di credenti della chiesa, che non appartengono a un popolo storico e a una religione biblica pluri-millenaria, tanto più che si trovano a due millenni di distanza dai mutamenti storico-teologici di quel tempo e sono abituati a vedere tutto in bianco e in nero. Il giudaismo (anche quello cristiano) era un fenomeno culturale e religioso alquanto complesso.

     Quindi, è difficile sostenere e dimostrare che questa epistola sia stata indirizzata principalmente alle chiese e che avesse come scopo primario quello di edificare i credenti.

 

     2. Nella cura pastorale ho incontrato non pochi «credenti», che avevano accettato Gesù come Salvatore, ma non come Signore della loro vita. Ci si può immaginare come appariva la loro vita sul piano dell’etica e della santificazione. A volte, quando li mettevo dinanzi alla volontà di Dio e chiedevo loro di sottomettersi a Cristo quale loro Signore, ubbidendo a Lui in ciò, non sempre erano disposti a farlo. Erano «credenti», ma non rigenerati. Aderivano al facile e falso «evangelo a poco prezzo», quello che tranquillizza, ma non salva né trasforma. Avevano appetito la grazia, ma non l’avevano mai accettata con un patto. Tali «credenti» poi sono quelli che si «convertono» a ogni conferenza o tenda, senza mai entrare nella vita. Non sono né carne e né pesce e spesso rimangono solo degli «aggregati». Affermano di aver perso la salvezza (che non hanno mai avuto) e poi credono di riottenerla al prossimo appello di un famoso predicatore.

     Nel giudaismo cristiano d’allora, di cui si parla nella lettera agli Ebrei, di tali «credenti» non rigenerati e continuamente «pendolari» fra il giudaismo storico e quello cristiano dovevano essercene stati parecchi, visto che l’autore li mise seriamente in guardia e spese un’intera epistola per convincerli della superiorità assoluta di Cristo su tutto e tutti.

 

 

3. {Nunzia Sasso}

 

Contributo: Le Scritture c’insegnano che la salvezza si può perdere, se non si persevera nella fede fino alla fine. Certamente le opere devono accompagnare la fede, altrimenti la fede è morta. Le opere buone vanno praticate, per esse si viene premiati dal Signore.

     E ripeto, lo scrittore della lettera agli Ebrei si rivolge a dei credenti rigenerati dal sangue di Cristo. {27-12-2011}

 

Osservazioni (Stefano Ferrero): In Ebrei 6,1-8 l’autore parla di falsi credenti, mai rigenerati, che hanno fatto apostasia, e in Ebrei 6,9 dice: «Tuttavia, carissimi, benché parliamo così, siamo persuasi riguardo a voi di cose migliori e attinenti alla salvezza...». {27-12-2011}

 

Replica (Nunzia Sasso): Gli apostati sono coloro, che hanno abbandonato la fede, ciò vuol dire che c’è stato un tempo in cui hanno creduto, pertanto erano stati rigenerati dal sangue dell’Agnello. {27-12-2011}

 

Risposta (Nicola Martella): La perdita della salvezza è fuori tema in questo tema di discussione. Ebrei 6,1-8 non parla di apostati, ma di Giudei simpatizzanti con cristianesimo, che avevano appetito la grazia, erano stati illuminati dallo Spirito Santo, ma non avevano fatto il passo decisivo di entrare nel nuovo patto. La salvezza era qualcosa ancora in prospettiva (v. 9), e, sebbene fossero in qualche modo ravveduti e zelanti, mancava loro ancora la «pienezza della speranza» (v. 11), che bisognava afferrare ancora saldamente (v. 18) per entrare di là dalla cortina, dove si trovava Gesù, il sommo Sacerdote (vv. 18ss). Erano, quindi, credenti ma non ancora rigenerati. Chi ha lavorato alla costruzione di nuove chiese, ne ha incontrati tanti di tali «credenti di paglia», che all’inizio hanno un grande zelo e fanno un gran fuoco, ma che dopo poco tempo sono più ciechi, sordi e freddi di prima.

     Un trattato teologico del genere, intento a mostrare la superiorità di Gesù Messia su tutti e del nuovo patto sul vecchio, non venne scritto a coloro, che avevano già capito e accettato Gesù di Nazareth come Messia, ossia a Giudei credenti rigenerati e già stanti a pieno titolo nel patto di grazia, ma a coloro che stavano fuori della salvezza in Cristo Gesù e ai titubanti e agli indecisi, che stavano continuamente con un piede dentro e uno fuori, che erano attratti dalla grazia del nuovo patto, ma che erano prigionieri della cultura e della struttura sociale del giudaismo. Il compito di tale autore era specialmente apologetico (difesa della verità e della superiorità del nuovo patto rispetto a quello vecchio) ed evangelistico (tentativo di guadagnare alla fede in Gesù Messia i propri connazionali e correligionari giudei). Chiaramente tutto ciò, una volta scritto, è servito pure per rafforzare la fede dei Giudei cristiani in Gesù Messia, sia per essi stessi, sia per dare loro argomenti nella difesa della verità verso i Giudei storici.

     L’autore non si rivolse a presunti apostati, ma a coloro che ancora potevano andare al trono della grazia per ottenere salvezza in Gesù Messia. Perché dovrebbe essere così sorprendente che Dio abbia rivolto un intero trattato teologico o tutta un’epistola al suo intero popolo Israele? Dovrebbe Dio dedicarsi storicamente solo ai rami innestati (i Gentili) e trascurare proprio i rami naturali (gli Israeliti), progenie storica d’Abramo? Sarebbe proprio un Dio singolare. La salvezza viene dai Giudei (Gv 4,22) e a loro per primi fu annunciata (At 3,26; 13,46).

     Faccio notare che, sebbene la cosiddetta «lettera ai Romani» fosse anch’essa un trattato teologico con annesse introduzione e conclusione d’occasione, queste parti mancavano del tutto nella lettera agli Ebrei, che quindi non era indirizzata ad alcuna chiesa. Inoltre, l’autore della lettera ai Romani si rivolse a due destinatari distinti: Giudei (Rm 2,11ss) e Gentili (Rm 1,6.13; 11,13). Anche qui lo scopo era di portare ambedue queste categorie alla salvezza, che è in Cristo Gesù, e di rafforzare la fede di coloro, che erano già entrati nel nuovo patto. La lettera agli Ebrei è in pratica l’unico vero trattato teologico a sé nell’intero NT; l’unica nota circostanziata si trova negli ultimi tre versetti, anzi, in fin dei conti, solo in Eb 13,23 riguardo a Timoteo, anche lui Ebreo circonciso (At 16,1ss).

 

Come già detto, in questo articolo non è in discussione la cosiddetta «perdita della salvezza» né l’apostasia (locuzioni mai ricorrenti nell’epistola). Chi trascura la salvezza (Ebrei 2,3), non ce l’ha mai avuta. Per favore, atteniamoci al tema! Le mie convinzioni sul suggellamento con lo Spirito Santo per il giorno della redenzione e, quindi, sulla capacità di Cristo di conservare il rigenerato fino alla fine, le ho espresse altrove; non credo alla perdita della salvezza per i rigenerati (i «credenti» la perdono, non avendocela mai avuta veramente), ma questo non è qui oggetto di discussione.

 

 

4. {}

 

 

5. {}

 

 

6. {}

 

 

7. {}

 

 

8. {}

 

 

9. {}

 

 

10. {}

 

 

11. {}

 

 

12. {Vari e brevi}

 

Salvatore Paone: Ottimo esempio, Nicola, non ti smentisci mai... {24-12-2011}

Pietro Calenzo: Ottima esegesi, ottima tematica, magnifico studio. Concordo pienamente. {24-12-2011}

 

► URL di origine: http://diakrisis.altervista.org/_Dot/T1-Come_scamperemo_EdF.htm

23-12-2011; Aggiornamento: 30-12-2011

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce