Ciao, scusa, se mi permetto,
ma volevo farti una domanda. Dio non ci vuole né caldi né freddi, né tiepidi.
C’entra in questo la nostra salvezza? {Adelaide Surace; 22-04-2014} |
Di là
dall'incongruenza della seconda frase, bisogna ribadire che il Signore ci vuole
«caldi», quindi «ferventi». Infatti, è scritto: «Quanto all’impegno,
non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore» (Rm
12,11).
I «tiepidi»
sono credenti all’acqua di rose, che non si distinguono troppo da quelli del
mondo. Ecco la diagnosi, che Gesù fece del conduttore della chiesa di Laodicea
(nell’attuale Turchia): «Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né
fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido, e non sei
né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca» (Ap 3,15s). Questo è
l’unico luogo nella Bibbia in cui ricorre il termine «tiepido» (gr.
chliarós).
Qui il verbo vomitare (gr. eméō) indica
che qualcuno ha bevuto dell’acqua tiepida d’estate e di essa si sente
schifato. Questa sensazione è quella, che il Signore Gesù sente per i
credenti a tempo perso o per i tempi belli, per quelli della «grazia a buon
mercato», per quanti lo vogliono avere come Salvatore, senza averlo come
Signore, e per coloro che voglio fare a meno del giogo del Signore e di
accollarsi la propria croce nel seguire Cristo.
Tale
conduttore era molto acculturato e si sentiva a posto, ma aveva lasciato
il Signore fuori della porta (v. 20) e necessitava di ravvedimento (v. 19). Il
problema dei tiepidi è che non sanno mai se sono dentro o fuori della
salvezza. Un momento, hanno grandi certezze, quando sono con gli altri credenti;
un altro momento, mettono tutto in dubbio con la loro «mente prostituta», come
la chiamò Lutero. Paolo lo chiamò «uomo psichico» e disse letteralmente:
«L’uomo psichico non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono
pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate
spiritualmente» (1 Cor 2,14). Il problema del credente tiepido è che un
momento si comporta da «uomo spirituale» (v. 15) e pensa con la «mente di
Cristo» (v. 16); un altro momento pensa con la mente del mondo ed è
un «uomo psichico».
Spesso tale
tipo di credenti vengono chiamati anche «carnali» o bambini nella
fede (1 Cor 3,1ss), che necessitano sempre
ancora il latte (Eb 5,12s) e sono sballottati in giro da ogni vento di dottrina
(Ef 4,14).
Il credente
tiepido non ha, quindi, mai certezze; non è mai sicuro che Dio lo ascolti
e lo esaudisca, essendo ondivago e pieno di dubbi (Gcm 1,6ss). Per questo Paolo
spinse i credenti a un auto-esame: «Esaminate voi stessi per
vedere se siete nella fede; provate voi stessi. Non riconoscete voi
medesimi che Gesù Cristo è in voi? A meno che proprio siate riprovati» (2
Cor 13,5). Egli ha indicato pure la prova del nove: «Ma pure il solido
fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: “Il Signore
conosce quelli che son suoi”; e: “Si ritragga dall’iniquità chiunque nomina il
nome del Signore”» (2 Tm 2,19).
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I contributi sul tema
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1. {Italo Strani}
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Benedetto sia il
nome di Dio, condivido pienamente e aggiungo che, se nel cuore si sente
la gratitudine di ciò, che Gesù ha fatto, sopportato e subito per me e
per tutti noi, ne scaturisce un amore verso di Lui, che non ha limiti.
Mi spiego
meglio, quando io chiudo gli occhi e spesso pure quando li ho aperti, penso a
tutte quelle frustate, gli sputi, le derisioni quando gli mettevano la
corona di spine. Insomma, quando penso a tutto quello, che gli hanno fatto, so
che lo dovevo subire io, perché era destinato tutto a me. Allora mi viene
un nodo alla gola e anche ora piango per gratitudine per il fatto che
Gesù si è offerto per me. E in questo c’è tutto l’amore, che Lui ha usato nei
nostri confronti, amandoci per primo; allora non puoi fare altro che
amarlo immensamente, tanto che sembra che il cuore ti scoppi in petto.
Per cui, per questa gratitudine, se la sentiamo, ci viene di donarci
completamente a Lui; ed è per questo che si diviene ferventi. Spero
che sono riuscito a spiegare ciò che provo per Gesù. {24-04-2014}
2. {Pietro Calenzo}
▲
Il cristianesimo è l’accettare la signoria di
Gesù Messia nelle nostre vite. Un Evangelo a buon mercato (significativa
la specificazione di Nicola sul verbo «vomitare dalla bocca») non è
assolutamente auspicabile. Molte volte, capita che si possa accettare Gesù solo
come Perdonatore (Salvatore) dei nostri peccati, ma non come Signore
delle nostra vita. Cosa vuol intendere ciò? Ciò significa signoria o padronanza
del Signore Gesù; completa sottomissione alla Persona e alla Parola di
Cristo. Nel nostro vivere quotidiano, non ci devono essere zone franche,
che non siano sottomesse al Signore Gesù. Ciò non specifica che non si peccherà
più, o che saremo perfetti, ma che abbiamo restituito le nostre vite nelle mani
dell’Eterno, e che siamo felici e propensi a portare il meraviglioso giogo di
Gesù nella sanificazione del nostro cammino verso la Patria Celeste.
{25-04-2014}
3. {Ivaldo Indomiti}
▲
■
Contributo:
Purtroppo tra le diverse trappole escogitate dal maligno c’è quella d’inculcare
al cristiano di «darsi da fare» per concorrere alla salvezza e alla
santificazione. Non metto in discussione la buona disposizione di chi ha questo
intento (io stesso ne sono stato influenzato per anni), ma purtroppo si finisce
per «accomodare» a modo nostro ciò, che Paolo intendeva dire con la parola «grazia
di Dio». «Poiché la grazia di Dio, salutare per tutti gli uomini, è
apparsa e ci ammaestra a rinunziare all’empietà e alle mondane
concupiscenze, per vivere in questo mondo temperatamente, giustamente e
piamente, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro
grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù; il quale ha dato se stesso per noi per
riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante
nelle opere buone. Insegna queste cose, ed esorta e riprendi con ogni
autorità. Niuno ti sprezzi» (Tito 2,11-15). {25-04-2014}
▬
Nicola Martella: Ti consiglio di spiegare
meglio il tuo pensiero, poiché potrebbe prestarsi a fraintendimenti.
Tanto più che siamo chiamati proprio a cooperare alla nostra
santificazione: «Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate,
che v’asteniate dalla fornicazione, che ciascun di voi sappia possedere il
proprio corpo in santità e onore, non dandosi a passioni di concupiscenza come
fanno i pagani» (1 Ts 4,3ss). Inoltre, qui il tema non è la «salvezza per
opere», ma la tiepidezza di alcuni credenti, che si cullano su una «grazia,
che nulla costa» nelle conseguenze, una volta accettata. Anche nel brano da
te citato, risulta che la «grazia storica», manifestata con Cristo, porta a una
vita cristiana consapevole e che mira a una metà, quindi impegnata
e zelante.
■
Ivaldo Indomiti: Nicola, ho anche la capacità
naturale di non spiegare bene il pensiero. Sono certamente d’accordo sulla tua
precisazione in relazione a questo: «Perché questa è la volontà di Dio: che
vi santifichiate, che v’asteniate dalla fornicazione, che ciascun di voi
sappia possedere il proprio corpo in santità e onore, non dandosi a passioni di
concupiscenza come fanno i pagani». Ma la mia precisazione voleva risaltare
che, siccome è vero che ci sono diversi passi biblici, come quello da te citato,
molti pretendono di «migliorare» (senza accorgersene) la grazia salutare di Dio,
aggiungendo «sforzi» personali, che sono il frutto non di una vita
consacrata giorno dopo giorno al Signore, ma piuttosto «sforzi» determinati
da un religiosismo sibillino, che ognuno di noi ha nel nostro DNA umano.
Quando questo esce per volere «aiutare» Dio nell’opera di consacrazione a
Lui, e non lo Spirito Santo, invalidiamo (senza accorgerci) la grazia di Dio. Il
tema è certamente lungo e non semplice da affrontare. La «trappola» tesa dal
maligno è che il cristiano pensi di «migliorare» grazie ai suoi sforzi
quotidiani piuttosto che lasciare vivere e agire in lui Gesù giorno dopo
giorno. L’altro errore è quello di ricorrere nuovamente alla Legge di Mosè,
per raggiungere la santificazione: «Procacciate pace con tutti
e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore» (Ebrei 12,14);
senza realizzare quest’altro passo biblico: «Ma ora, essendo stati affrancati
dal peccato e fatti servi a Dio, voi avete per frutto la vostra
santificazione, e per fine la vita eterna» (Romani 6,22). Non ho la pretesa
comunque che sia condivisa questa mia analisi ma questo è il mio pensiero.
{26-04-2014}
▬
Nicola Martella: Bisogna distinguere gli «aspetti
puntuali» della salvezza (alla conversione mediante la rigenerazione, per
grazia mediante la fede, santificazione da parte di Dio, ecc.), dagli «aspetti
processuali» (santificazione, portare frutto, compiere opere, ecc.) e dagli
«aspetti finali» (risurrezione, piena redenzione, glorificazione, ecc.).
Nel primo aspetto non si può concorrere alla salvezza, essendo essa data per i
meriti di Cristo; negli aspetti processuali, è assolutamente importante
l’impegno del credente, il quale deve assolutamente collaborare con lo
Spirito Santo per la propria santificazione, la crescita, la conoscenza, lo
zelo, ecc. L’innesto lo fa Dio, a portare frutto devono pensarci i
credenti; a ciò si devono i tenti imperativi e le tante esortazioni nel NT.
4. {Rita Fabi}
▲
Caro Nicola, tu dici: «I “tiepidi” sono
credenti all’acqua di rose, che non si distinguono troppo da quelli del mondo.
Ecco la diagnosi, che Gesù fece del conduttore della chiesa di Laodicea
(nell’attuale Turchia): “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né
fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido, e non sei
né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca” (Ap 3,15s)». In un
certo senso a me la parola tiepido fa venire in mente anche insipido, per
cui penso che oltre al versetto di Apocalisse si possa accumunare tale sorta di
cristiani a questi, a cui Gesù dice di stare attenti a non diventarlo: «Voi
siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido, con che cosa
gli si renderà il sapore? A null’altro serve che a essere gettato via e a
essere calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; una città posta
sopra un monte non può essere nascosta. Similmente, non si accende una lampada
per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti
coloro che sono in casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei
cieli» (Matteo 5,13-16). Nella prima parte del passo Gesù chi dice chi
saranno i beati, e subito dopo avvisa di non diventare insipidi, affinché
non si debba essere gettati via. Lo zelo per il Signore è qualcosa che
nel cristiano diventa parte di se stesso, perché fa parte della sua nuova
natura. Se viene a mancare questo fervore dentro, o si è caduti in
qualche inganno del nemico (ma allora può essere una prova mandata da Dio),
oppure si è diventati così perché non si è mai stati davvero rigenerati. Direi
che un ottimo esempio, su cui esaminare se stessi, è il capitolo 13 di
Matteo. {25-04-2014}
5. {Donatella Nancy Festa}
▲
■
Contributo:
Dal versetto di Apocalisse,
letteralmente, si comprende che al Signore va bene il credente caldo e
perfino quello freddo; è quello tiepido che sarà vomitato. {25-04-2014}
▬
Nicola Martella: Al Signore va bene il
credente fervente. L’espressione «Oh fossi tu pur freddo o fervente!»
(Ap 3,15s) denota un certo sdegno di chi preferisce le cose chiare e lineari:
o caldo o freddo, o bianco o nero, o dolce o amaro. Le commistioni e gli
ibridi sono avversi al Signore, così chi è tiepido, scialbo o insipido, né vivo
e né morto. Oltre allo sdegno, Gesù mostra qui un certo ribrezzo
per tale categoria languida, sbiadita, scipita e moribonda.
■
Alessio Pancani: È interessante notare che la
Scrittura segnali che addirittura la condizione di «freddo» sia migliore
di quella di «tiepido». Il freddo, l’indifferente, l’ateo puro non reca, per
così dire, danni al cristianesimo, si limita a essere indifferente, a non
immischiarsi.
Al contrario, il tiepido imprime un’immagine distorta,
porta discredito fa sì che la gente disprezzi sia loro che Dio; «a causa
vostra il nome di Dio è bestemmiato». I tiepidi sono talmente nauseanti
da essere vomitati. {26-04-2014}
6. {Bruno Salvi}
▲
La chiesa di
Laodicea, mi fa pensare a un cristianesimo «tiepido,» trionfalistico e
presuntuoso. Correrà a destra e a sinistra dietro a tutte le novità perché si
dirà: «Il Cristo è qui, oppure è là» (Mt 24,23). Cosi il Signore «vomiterà
dalla sua bocca» (Ap 3,16) chi si è accontentato di un cristianesimo
festaiolo e di superficie, anziché ricercare «la santificazione» (Eb 12,14)!
Qualcuno, come
è stato citato nel proporre la domanda a Nicola (se ho capito) domanda se in
queste condizioni si possa considerare il tema «salvezza». Premettendo
che il termine perdere [la salvezza, N.d.R.] non esiste, ma solo ricevere o
rifiutare, perché la Scrittura ci parla di sicurezza (Gv 10,28-29; Rm 8,38-39),
qui si attira l’attenzione sul fatto che la tiepidezza è il segno che manca
la vita. S’imita il cristianesimo, ma non c’è la sostanza. Il cibo viene
vomitato, quando non viene assimilato. In questo caso si ha un rigetto.
Verranno respinti tutti quelli, che hanno una religiosità esteriore (Mt
7,21) e non possiedono la vita di Dio (Gv 5,24; 2 Pt 1,4).
C’è
l’orgoglio (Ap 3,17a). Quando non si conosce il Signore, non si conosce
nemmeno se stessi, si diventa schiavi della presunzione e del nostro
orgoglio. Si possono dire cose sciocche del tipo: «Sono ricco, mi sono
arricchito e non ho bisogno di niente!» (cfr. Lc 12,13-21). Qui troviamo un
richiamo solenne, Il Signore deve dire: «Tu non sai invece, che sei
infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo» (Ap 3,17b).
Essere nudi nella Scrittura è sinonimo di sconfitta e umiliazione (2 Sam
10,4; Is 20,1-4). Solo il Signore libera dalla miseria e dona una vera sicurezza
(1 Ti 6,17).
Si nota un
altro aspetto, a causa della situazione che si è determinata (Ap 3,20). Il
Signore è ormai fuori da questa chiesa. Ma fa un ultimo tentativo,
mostra sensibilità e rispetto, non s’impone, non entra di soppiatto (2 Pt 2,1-2)
o con l’inganno. Da fuori, bussa, si rivolge agli individui facendo udire
la sua voce (Mt 11,28; Gv 10,27; Eb 3,7,15). A chi lo fa entrare, cioè lo
riceve (Gv 1,12), offre pienezza, abbondanza, comunione. La cena,
infatti, è un momento di scambio e di benedizione reciproca. Se la chiesa di
Laodicea, figura della cristianità nominale, sarà vomitata, cioè
giudicata; c’è speranza per chi individualmente riceve Cristo. Riceve la
promessa di sedersi con lui sul suo trono (Ef 2,6; 2Ti 2,12). Il ricevere
tutto questo, sta nell’ascolto (Ap 3,22), essendo questo il mezzo per
realizzare la vera fede (Rm 10,17). {25-04-2014}
7. {Ivaldo Indomiti}
▲
■
Contributo:
Quanto hai espresso sopra nel tuo ultimo contributo, è uno dei pensieri
ricorrenti, che condivido in parte. Forse diciamo la stessa cosa, ma con parole
diverse. Oppure la tua lettura non è esattamente la mia. Il metter l’impegno
va spiegato meglio te. Io penso di averlo fatto nel post precedente ora t’invito
a farlo quando parli «del credente, il quale
deve assolutamente collaborare con lo Spirito Santo per la propria
santificazione». Questa collaborazione sappiamo sempre di che natura è? Siamo
sicuri che tutte le volte che do una «mano» all’opera dello Spirito Santo, lo
faccio con l’uomo nuovo e non con l’uomo vecchio, che è pur sempre
religiosissimo? Se sì non sto vanificando il messaggio di Gesù. «Io sono la
vera vite, e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà
frutto, Egli lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo rimonda
affinché ne dia di più. Voi siete già mondi a motivo della parola che v’ho
annunziata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé
dar frutto se non rimane nella vite, così neppur voi, se non dimorate in
me. Io son la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io
dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. Se
uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; codesti tralci
si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie
parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto. In questo è
glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, e così sarete miei
discepoli. Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel
mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore;
com’io ho osservato i comandamenti del Padre mio, e dimoro nel suo amore. Queste
cose vi ho detto, affinché la mia allegrezza dimori in voi, e la vostra
allegrezza sia resa completa. Questo è il mio comandamento: che vi amiate
gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Giovanni 15,1-12).
Con questo ripeto, non sto dicendo di non fare
niente, ma sto portando all’attenzione che dietro il messaggio del
«concorrere» all’opera di santificazione più preferibilmente accade che
c’innalziamo a «bravi cristiani», per aver fatto il «fioretto quotidiano»
per Gesù, piuttosto che dimorare in Lui, dargli il primato su
tutto come esattamente gli spetta. Lo Spirito Santo ci ammaestra e di
conseguenza agisce in noi, e noi agiamo sotto l’influenza di Lui, ci riprende,
ci consola, ci convince e tante altre meravigliose azioni positive per il
cristiano; ma tutto avviene solo con l’uomo rigenerato. E l’uomo rigenerato
da Dio ben volentieri cede le briglie della propria vita, per farla condurre da
Gesù. Concludo la mia esposizione ringraziandoti per le tue precisazioni, che
trovano spesso la mia condivisione e ringrazio il nostro Signore Gesù per la
luce che ti ha donato nello studio della Parola di Dio nel metterla in pratica.
{26-04-2014}
▬
Nicola Martella:
Già nel lungo brano da te citato, il frutto è connesso al fatto che il
credente dimori in Cristo e nel suo amore; tuttavia, tale dimorare avviene
mediante l’osservanza dei comandamenti del Signore. L’uomo rigenerato dà
il primato al Signore non tanto in una atteggiamento solo contemplativo né tanto
meno passivo, ma mostrandosi zelante nella sottomissione e ubbidienza a
Lui.
Sinceramente, non mi vengono a mente molte esortazioni
nel NT, in cui si esprima il biasimo per la collaborazione del rigenerato con lo
Spirito Santo alla propria santificazione. Tutte le ammonizioni vengono espresse
perché si è tiepidi, insipidi, carnali, pigri e così via. Sinceramente
tale apologia contro il troppo impegno cristiano negli aspetti
processuali della cristianologia (vita cristiana) mi sono nuovi e mi lasciano un
po’ perplesso. In greco c’è il verbo spūdázō, che intende «impegnarsi,
esercitarsi, studiarsi» e che alcune traduzioni traducono anche con «essere
zelante». Similmente accade col sostantivo spūdḗ «impegno,
diligenza» (Rm 12,11). Ambedue esprimono la diligenza e la premura.
Sarebbe lunga la lista delle cose, in cui i credenti sono chiamati a mostrare
tale santo impegno. Perciò, rimango perplesso dinanzi a tale visione inoperosa e
solo contemplativa, nutrendo il timore di remare contro ciò, che fa lo
Spirito Santo, visto che ho parlato in modo positivo solo della sinergia,
che il credente debba avere con lo Spirito Santo. Ad esempio: «Impegnatevi [spūdázō]
a conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace» (Ef 4,3).
■
Ivaldo Indomiti: Non ho parlato d’inoperosità,
ma di lasciare operare il Signore nella nostra vita (scusate se questo può
sembrare poco... ). E quindi la sua opera in noi dà frutti. Comunque mi
rendo conto che il messaggio è difficile da comprendere, per il fatto che
siamo da molto tempo abituati a dare per «scontato» il darsi da fare per l’Opera
di Dio (questo è il messaggio da sempre esposto nell’ambito delle nostre
comunità) indipendentemente da chi sia a farlo in noi. Ma, se l’esame del
cristiano davanti a Dio è sincero e approfondito, le cose prenderanno una veste
decisamente diversa. Sarà in positivo proprio perché il merito è solo ed
esclusivamente suo. E molti fratelli impareranno a prendere sul serio il
possesso di un beneficio unico nella nostra vita: la grazia di Dio. Quando
questo avviene, ci sarà più la necessità di mettermi in mostra davanti ai
fratelli (lo dico in senso generale, mettendomi per primo bisognoso di ciò), per
far valere le mie capacità spirituali, ma sarò piacevolmente felice di
fare tutte le volte come il Battista: «Bisogna che egli cresca, e che io
diminuisca» (Giovanni 3,30). {26-04-2014}
▬
Nicola Martella:
Si nutre il timore di togliere i meriti al Signore e alla sua grazia, che
ci si metta in mostra e che si faccia valere le proprie capacità. Visto che qui
il tema è «Tiepidi in pericolo», non comprendo come tale categoria possa
ambire a tanto. Tanto meno si comprende come si possa sottintendere che ogni
credente zelante e fervente tenda a tali manovre della carne, con cui
mettere in ombra l’opera di Dio.
Per quanto mi ricordo,
gli unici esempi di un tale atteggiamento negativo nel NT erano quelli dei «super-apostoli»
nella chiesa di Corinto (Giudei esoteristi) e di Diotrefe (voleva il
primato nella chiesa). Tuttavia, non si può trarre da ciò una dottrina generale.
I cristiani comodi, tiepidi e inoperosi sono nel NT un problema più
ricorrente e preoccupante. Tanto che Giacomo dovette dire a tale categoria che «la
fede senza le opere non ha valore» (Gcm 2,20) e che «la fede senza
le opere è morta» (v. 26). E sfidò così i «cristiani a parole» (e
solo contemplativi) dei suoi tempi: «Tu hai la fede, e io ho le opere;
mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la
mia fede» (v. 18).
8. {Rita Fabi}
▲
■
Contributo:
Scusate se m’intrometto nella discussione del punto precedente. Da quello che io
ho compreso, forse il fratello Ivaldo intende dire che molto spesso accade che
alcuni credenti si mettano troppo in mostra nelle loro opere, non per uno
zelo proveniente dalla grazia di Dio, mossi perciò dallo Spirito Santo, ma solo
da se stessi. Ci sono, infatti, molti che possono cadere in tale inganno,
specialmente all’inizio del proprio cammino cristiano. Forse non hanno bene
compreso che la grazia è un dono da parte di Dio e non implica nulla da parte
dell’uomo, perciò pensano in questo modo di assicurarsi una qualche certezza
della loro salvezza, cadendo invece nel tranello delle proprie opere, per
assicurarsi la salvezza. Al contrario, invece, lo zelo per compiere
la volontà di Dio non dovrebbe essere questo, ma solo un slancio dettato
dall’amore verso il nostro Salvatore, che ha compiuto in toto tutto quanto, pur
essendo noi solo dei peccatori destinati alla perdizione eterna. E comunque
anche i frutti, che noi possiamo portare a Dio, sono solo una conseguenza
della sua grazia. «Or colui, che fornisce la semente al seminatore e il pane
da mangiare, ve ne provveda e moltiplichi pure la vostra semente, e accresca i
frutti della vostra giustizia» (2 Corinzi 9,10). «... ripieni di frutti di
giustizia, che si hanno per mezzo di Gesù Cristo, alla gloria e lode di Dio»
(Filippesi 1,11). Per finire, credo che il frutto maggiore, che un
cristiano davvero rigenerato debba portare a Dio, è il cambiamento della propria
vita. «Fate dunque frutti degni del ravvedimento» (Luca 3,8).
A tal senso mi viene in
mente un brano tratto da un sermone di Spurgeon che dice: «Molte persone sono
davvero dispiaciute e veramente pentite dei loro peccati passati, a sentirle
parlare. “Oh!”, dicono, “Sono profondamente dispiaciuto, perché non avrei dovuto
mai essere un ubriacone, io sinceramente deploro di essere dovuto cadere in quel
peccato, io mi lamento profondamente di aver fatto quello”. Poi vanno a casa
subito, e quando uno, domenica, puntualmente, arriva, li troverà di nuovo come
prima. Eppure queste persone dicono di essersi pentite. Credete loro quando
dicono di essere peccatori, ma che non amino il peccato? Possono non amarlo in
quel momento, ma possono essere sinceramente pentiti, e poi andare a trasgredire
di nuovo immediatamente, nello stesso di come hanno sempre fatto prima? Come
possiamo credervi, se voi trasgredite ancora e ancora e non abbandonate il
peccato? Se riconosciamo un albero dai suoi frutti, in voi che siete penitenti
produrrà opere pentimento». {26-04-2014}
■
Ivaldo Indomiti: Grazie, sorella Rita. In effetti hai colto buona parte del pensiero. Quando si esperimenta la resa quotidiana a Gesù, si riesce a comprendere il messaggio di cui sopra. {26-04-2014}
▬
Nicola Martella:
Bisogna decidersi, se parliamo di simpatizzanti non rigenerati o di credenti
tiepidi. Chi vuole assicurarsi qualche certezza di salvezza, per
assicurarsela con le sue opere, non è ancora rigenerato. Spurgeon parlava
di persone, che vivevano nel peccato; per l’apostolo Giovanni questo era un
segno che non erano rigenerate. Riguardo ai rigenerati, è davvero difficile
voler vedere in loro molto frutto, senza il loro impegno, ma solo
esercitando una devozione passiva, quiescente e contemplativa.
Ho qualche perplessità come il tema «tiepidi in
pericolo» sia stato trasformato in «arrivisti in pericolo», che è ben altro
tema. Qui non parliamo tanto del pericolo di chi si metta in vetrina, ma
di chi diventa insipido.
Inoltre, faccio notare che la salvezza è per
grazia, ma non gratis. Ossia, il riscatto del Signore è connesso al fatto
che si entri nel suo patto e si prenda un solenne impegno a sottomettersi
a Lui e a ubbidire alla «legge di Cristo». Si entra nel patto per i meriti di
Cristo, ma è permesso entrarci solo a chi accetta Cristo non solo come
Salvatore, ma ad anche come Signore. In caso contrario, si è solo cristiani
di nome o facciata, quindi ancora perduti. Ricordo ancora
un’illustrazione di un predicatore della mia infanzia, che all’incirca
diceva questo: Sulla porta del regno di Dio è scritto: «Entra, è per grazia».
Appena entrati e chiusa la porta, si legge sul retro: «Ora sei nella famiglia di
Dio, perciò comportati di conseguenza». Fin qui l’illustrazione. Per questo,
chi non brucia per il Signore, è tiepido e insipido e, come tale, è a
rischio di essere ancora fuori del regno.
■
Rita Fabi: Concordo pienamente con le ultime parole del tuo commento, caro Nicola. {26-04-2014}
9. {}
▲
10. {}
▲
11. {}
▲
12. {Autori
vari}
▲
■
Blaise Henry: I tiepidi si escludono dalla
benedizione per incredulità e disobbedienza; e si escludono dal piacere del mondo per motivi morali! Alla fine non hanno gioia! :-( {24-04-2014}
►
URL: http://diakrisis.altervista.org/_Disc/T1-Tiepid_pericol_Esc.htm
24-04-2014; Aggiornamento: 27-04-2014 |