«Io prenderò il diritto per livello, e la giustizia per piombino» (Isaia 28,17).

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«Diakrisis»: Discernimento — «Credere e comprendere»

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Nello stesso libretto sono contenute le domande per lo studio e il dizionarietto, dove trovare le risposte.

  Ecco le parti principali della parte di studio:

■ Introduzione all'Evangelo di Matteo

■ Nascita, battesimo e tentazione (Mt 1,1-4,11)

■ Attività in Galilea (Mt 4,12-16,12)

■ Istruzione dei dodici (Mt 16,13-18,35)

■ Viaggio verso Gerusalemme e ultimi giorni in essa (Mt 19-25)

■ Crocifissione e risurrezione (Mt 26-28).

 

Inoltre ci sono, tra altre parti, anche le seguenti:

■ Dizionarietto

■ Guida allo studio personale e di gruppo.

 

Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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GETTARE LA SPUGNA NEL SERVIZIO? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Questo è un tema abbastanza ricorrente nelle chiese a conduzione collegiale. La forma collegiale di conduzione e la partecipazione di vari fratelli nel servizio della chiesa sono una risorsa, ma creano anche varie e ovvie incomprensioni e tensioni. Chiaramente simili cose accadono allo stesso modo nelle chiese a conduzione monocratica, dove un conduttore unico decide chi deve fare che cosa e quando. A ciò si aggiunga il fatto che nella vita personale, in famiglia, sul posto di lavoro e così via i problemi non mancano mai. Quando tutto si accumula, a un certo punto, la voglia di gettare la spugna nel servizio e di ritirarsi nel guscio della propria auto-commiserazione è grande. Che fare allora? Come comportarsi correttamente per non squalificarsi nel ministero e per non apparire inaffidabile e poco idoneo al servizio nell’opera del Signore?

Gettare la spugna?

Ecco un imperativo: Per quanto dipende da te, rimani sul ring del servizio fino all’ultimo round! «Non gettate dunque via la vostra franchezza, la quale ha una grande ricompensa! Poiché voi avete bisogno di resistenza, affinché, dopo aver fatta la volontà di Dio, conseguiate la promessa» (Ebrei 10,35s).

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Gettare la spugna nel servizio».

 

Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

 

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

1. Salvatore Paone

2. M. Pellegrini

3. Nicola Martella

4. Abele Longo

5. Stefano Carta

6. Cristian Careddu

7.

8.

9.

10.

11.

12. Autori vari

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Salvatore Paone}

 

Voler gettare la spugna nel servizio? È capitato di avere dei momenti di difficoltà; e in essi la cosa singolare è stata sempre quella di mollare tutto. Ciò è accaduto per poter sistemare prima le mie faccende, sia lavorative, sia famigliari, sia anche quelle ecclesiali. Ma in questo devo ringraziare Dio che si è servito di fratelli, che mi hanno esortato a continuare; e questo è stato motivo d’incoraggiamento, anche quando non avevo voglia di ascoltare nessuno. Tuttavia c’è stata sempre quella «vocina», che mi diceva: «Da’ ascolto a ciò, che vogliono dire i fratelli, senza pregiudizi». {26-09-2012}

 

 

2. {Massimiliano Pellegrini}

 

Contributo: Molte persone chiedono aiuto, prendono soltanto; stanne certo è facile prendere e non dare niente, da accattoni. Poi, però, tornano a precipitare nelle stesse situazioni, perche non hanno l’intenzione di servire Cristo nella stessa intenzione così come ciò gli è stato prospettato. {26-09-2012}

Nicola Martella: La dinamica, che esprimi, è vera; effettivamente ci sono persone, che vogliono solo ricevere e che vogliono operare le cose del Signore a modo loro. Dici anche bene, quando parli di «servire Cristo», ma aggiungo: «servire solo Cristo». Ciò significa rifiutare di servire (venerare) creature, che Dio non ha destinato a ciò (angeli, creature morte, ecc.). Purtroppo è proprio questo il tuo problema di cultore del sacramentalismo, dell’idolatria, del ritualismo e della devozione cultuale all’arcangelo Michele e a creature morte.

     Morti: «Un popolo non dev’egli consultare il suo Dio? Si rivolgerà egli ai morti a pro dei vivi? Alla legge [ebr. Torà = insegnamento biblico]! Alla testimonianza [= Decalogo o comandamenti di base]. Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui alcuna aurora!» (Isaia 8,19s).

     Esseri celesti: «E io, Giovanni, sono quello, che udii e vidi queste cose. E quando le ebbi udite e vedute, caddi per adorare dinanzi ai piedi dell’angelo, che mi aveva mostrate queste cose. Ma egli mi disse: Guàrdati dal farlo; io sono tuo conservo e dei tuoi fratelli, i proclamatori, e di quelli, che osservano le parole di questo libro. Adora Dio» (Ap 22,8s; cfr. già 19,10).

 

 

3. {Nicola Martella}

 

Facendo alcune aggiunte all’articolo e a questo tema, mi preme affermare quanto segue.

     ■ Questo articolo ha un taglio generale e non riguarda nessuno in particolare, ma serve soltanto per far discutere i fratelli su tale questione, abbastanza ricorrente nelle chiese. L’obiettivo è di renderli così consapevoli della problematica e d’indurli a fare il meglio possibile in situazioni simili, sia che si trovino essi stessi nella condizione critica, sia per aiutare gli altri confratelli, che passano per tali momenti particolari.

     ■ Sono molteplici i motivi perché si getta la spugna nel ministero in una chiesa locale e, quindi, possono dipendere da tanti fattori, ad esempio i seguenti: conduttori che non danno abbastanza spazio nel ministero; conduttori che hanno sempre da ridire su tutto ciò che uno fa, non danno istruzioni precise e non incoraggiano mai; carnalità del soggetto nel modo di servire e insensibilità a esortazioni e a cambiare positivamente; continue tensioni nella chiesa e mancanza d’unità fra coloro, che servono; mancanza di stima da parte degli altri servitori; mancanza di gratitudine da parte di coloro, che sono i destinatari del ministero; incostanza o trascuratezza del soggetto nel ministero, cosa che lo squalifica agli occhi degli altri; continue gelosie e screzi verso il soggetto che serve; troppi carichi sul lavoro secolare non lasciano tempo per un ministero efficace; casi fortuiti in famiglia e pesanti malattie del soggetto o di uno dei suoi cari rendono difficile una presenza costante e un impegno concreto; e così via.

     ■ Se gli obiettivi di un collaboratore sono chiari ed egli li si sta perseguendo, ci sono tappe, in cui bisogna rallentare per riprendere forze e mettere le cose a posto; e ci sono altre tappe, in cui bisogna indietreggiare momentaneamente per riprendere la rincorsa. Tuttavia, in tal caso, non definirei ciò un «gettare la spugna», poiché ciò si applicherebbe soltanto a chi avesse smarrito del tutto la via maestra e avesse perso di vista la grande meta.

     ■ A ognuno di noi il Signore ha dato una «misura della fede» e il Signore ci chiede di essere realisti verso noi stessi (Rm 12,3). Così prenderemo all’interno del corpo quella funzione ministeriale adatta alla nostra chiamata, alla situazione, in cui ci troviamo e ai carismi ricevuti (vv. 4-8). Poi, all’interno della «corporazione» locale tutto dipende dai seguenti fattori: le motivazioni interiori, l’atteggiamento mentale e devozionale e la pratica della fede (vv. 9-13). Dove ci sono gli ingredienti, descritti in tale brano, e la volontà di essere utile nell’opera (di là da titoli, etichette e gradi), non c’è bisogno per nessuno di gettare la spugna ministeriale. Le cose necessarie, per servire il Signore in una comunità o in un’opera, sono specialmente queste: presenza, costanza, integrità, fedeltà, irreprensibilità, zelo e amore.

 

 

4. {Abele Longo}

 

Contributo: Le cause, per cui si getta la spugna, possono essere svariate, come dici bene, caro Nicola. Tralasciando quelle più comuni, come ad esempio la carnalità, la mancanza d’incoraggiamento, l’essere eccessivamente appesantiti dai vari impegni e così via, vorrei dare il mio contributo su una causa forse meno frequente, ma che ho riscontrato, purtroppo, esistere. Mi è capitato di assistere alla situazione di un anziano (di una chiesa a conduzione monocratica) che ha continuato a screditare l’operato di uno dei fratelli, che ha il ministero della Parola, agli occhi della chiesa intera, perché a detta sua quest’ultimo aveva dei «problemi»; insisteva paradossalmente che non saltasse alcuna predicazione, pena il rincaro delle critiche a suo carico. Secondo il mio modesto parere, tale conduttore somigliava più a un despota che non a ciò, che ci si aspetterebbe da un anziano. Fra l’altro, alla domanda del fratello, che ha il ministero della Parola, se i «suoi problemi» di fatto non stessero compromettendo la qualità e la legittimità del suo servizio di predicazione, si è sentito rispondere con una certa disinvoltura che comunque poteva, o meglio, doveva sentirsi vincolato a continuare ad amministrare la Parola (!). A quel punto, mosso dal convincimento della propria coscienza, quel fratello si vide costretto a chiedere alla chiesa un tempo di riflessione, per considerare la propria condotta davanti a Dio. In parole povere, ha gettato la spugna. A mio avviso, fra lui e l’anziano, era di sicuro quest’ultimo che avrebbe fatto bene a rimettere il proprio incarico! Spero di aver contribuito ad aggiungere ulteriori spunti alla riflessione. {02-10-2012}

 

Nicola Martella: Il tratto peggiore del carattere di un conduttore è mostrato da lui, quando, lungi dall’incoraggiare i collaboratori della chiesa, usa ogni occasione per denigrarli in pubblico e in privato, nella folle intenzione di rimanere così il «primo della classe». Io insegno qui da noi che i collaboratori sono la risorsa migliore, che un missionario fondatore o un conduttore possa avere al momento e per il futuro della chiesa.

     Chi ferisce continuamente i suoi collaboratori è come chi toglie continuamente le nuove foglie a una pianticella, finché essa non ce la fa più e soccombe. Similmente un collaboratore continuamente pressato, ferito e denigrato, prima o poi getta la spugna.

     Di un tema del genere ne abbiamo già parlato qui: Comportamenti erronei di conduttori verso i membri (link esterno).

 

 

5. {Stefano Carta}

 

Contributo: Non è mai facile. A volte sembra che tutti ti si mettono contro; altre volte sembra che il servizio per la chiesa non porti dei risultati; altre volte gli impegni eccessivi in un lavoro secolare diventano un peso frustrante e insopportabile. Altre volte ti rendi conto che non dedichi molto tempo alla preghiera. Molto spesso le tue frasi nel tentativo di consolare un fratello o una sorella non sembrano sortire l’effetto sperato. Ma in tutto ciò mi rendo conto, senza voler fare una modestia gratuita, che fondamentale il problema sono io stesso.

     Ho bisogno di consacrazione a Dio, di conoscere di più la sua volontà attraverso la Parola, di studiarla con più diligenza, di amare attraverso quell’amore che Cristo mi ha donato. E forse questo è il punto essenziale: quando penso di mollare tutto per i miei problemi, a meno che questi problemi non siano causa diretta dei miei peccati e che mi squalificano dal servizio, manco di amore verso la chiesa, verso quei fratelli e quelle sorelle, che sono chiamato a servire attraverso i miei doni.

     Gettare la spugna non è un gesto di amore, nemmeno verso se stessi. Paolo poté dire alla fine della sua vita: «Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Altri versetti parlano della vita cristiana come di una battaglia continua. Ma Dio ci ha resi più che vincitori. E in virtù della sua forza, che opera in noi con potenza (Col 1,29), possiamo andare avanti con gioia e fiducia, sapendo che Dio è fedele in ciò, che ha promesso e che non ci abbandona nel nostro ministero, qualunque esso sia. {12-10-2012}

 

Nicola Martella: In effetti, se «tutte le cose cooperano al bene di quelli, che amano Dio» (Rm 8,28), proprio questi hanno a volte l’impressione che tutto e tutti sulla terra si siano coalizzati contro di lui e complottano per il suo male. In certi momenti, tutto si accumula e sembra che sotto di noi il fondamento non regga a lungo. Eppure chi serve Dio con fedeltà, onestà e dedicazione, sperimenta la sua potenza che si manifesta proprio nella debolezza, quella mano che ti afferra proprio nella tempesta, quella consolazione che non può darsi da solo, quell’energia che non può provenire dalle sue batterie oramai scariche, e la vittoria di battaglie che non dipende dalle proprie possibilità.

 

 

6. {Cristian Careddu}

 

Indubbiamente, quando ci si sente in una situazione del genere, c’è il rischio di abbandonare le armi, di arrendersi e alzare bandiera bianca. Ma nella guerra, che si combatte tutti giorni, può capitare di scoraggiarsi, quando arrivano le difficoltà in un mondo secolarizzato. «Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo» (Gv 16,33). Così, quando nella chiesa si è nel servizio, che Dio chiama a svolgere, abbiamo un compito di grande responsabilità; allora è di vitale importanza la capacità di essere attaccati alla vera vite, cioè Cristo. Egli è l’unica fonte di acqua viva, dove ci si disseta, per non rischiare di rimanere disidratati spiritualmente; finché mi affido alle mie forze, non andrò lontano e cederò ai miei pensieri carnali. Al contrario, la Parola di Dio dev’essere il metro di misura nella mia vita e nella chiesa di Cristo. Similmente la preghiera ed essere perseveranti in essa sono armi, che il Signore mi dona per combattere. Sono un soldato di Cristo e combattiamo nel terreno del nemico; più ci affacciamo nel suo territorio e più ci ostacolerà, ma il mio sguardo deve essere rivolto al mio Re e al mio Signore. Infatti, per questo che fatichiamo e combattiamo: abbiamo riposto la nostra speranza nel Dio vivente, che è Salvatore di tutti gli uomini, sopratutto dei credenti (1 Tm 4,10). {13-10-2012}

 

 

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12. {Autori vari}

 

Claudio Bagno: Grazie, ne avevo bisogno. La stanchezza, il sottostimarsi o la mancanza di fiducia in se tessi sono altre cause scatenanti lo gettare la spugna. {28-09-2012}

 

Gaetano Casà: Questo desiderio mi ha sfiorato più volte, ma il Signore mi ha sempre fatto capire che non devo pensare a me stesso, ma al servizio.

 

Luisa Lauretta: Sì, è vero, quello che dici, Nicola. C’è da meditare. {02-10-2012}

 

Salvatore Canu: Amen! Gesù ha detto: Io sono con voi! Ha detto forse: Sono con voi, non lo sarò forse un tempo? No, io sono con voi tutti i giorno fino alla fine dell’età presente! Il Signore ti benedica di ogni benedizione in Cristo Gesù, fratello, sei di grande incoraggiamento per tutti noi. ☺ Un forte abbraccio, benedizioni in Gesù. {12-10-2012}

 

Maria Ippolito: Ciao, Nicola, tante grazie. A parer mio non sono i problemi quotidiani, che fanno buttare la spugna, qualsiasi essi siano! Quelli mi fanno solo ridere, io riesco a sopportare tutto! È la mancanza di salute, che te la fa buttare! Uno lotta tutta la vita con il cancro inutilmente, poi, tanto ritorna sempre! E pensare che c’è chi si uccide perché cade in povertà! Tristezza infinita! {02-10-2012}

 

Anna Maria Maiore: È proprio vero quello che scrivi nell’articolo: «Le cose necessarie, per servire il Signore in una comunità o in un’opera, sono specialmente queste: presenza, costanza, integrità, fedeltà, irreprensibilità, zelo e amore». {02-10-2012}

 

► URL: http://diakrisis.altervista.org/_Disc/T1-Getta_spugna_Mt.htm

01-10-2012; Aggiornamento: 15-10-2012

 

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