«Io prenderò il diritto per livello, e la giustizia per piombino» (Isaia 28,17).

La fede che discerne la ferma verità in un tempo mutevole

«Diakrisis»: Discernimento — «Credere e comprendere»

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Le Origini 1

 

Crescita personale (generale)

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L’opera si presenta in due volumi ed è organizzata come segue:

1° volume (Temi delle origini): Gli articoli introduttivi e i temi di approfondimento

2° volume (Esegesi delle origini): Il commento particolareg­giato basato sul testo ebraico (comprende anche una traduzione letterale posta alla fine)

  Se si eccettua la prima parte del primo volume, che introduce a Genesi 1,1-5,1a, per il resto ambedue i volumi dell’opera sono suddivisi rispettivamente secondo le seguenti parti:

■ La creazione del mondo e dell’uomo 1,1-2,4a

■ L’essere umano nella creazione 2,4b-25

■ La caduta primordiale e il suo effetto 3

■ La fine del resoconto su Adamo 4,1-5,1a.

 

Vedi al riguardo le recensioni.

Le Origini 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IDENTITÀ E VALUTAZIONE CORRETTA DI SÉ?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Efesini 4,23sQui di seguito discutiamo l’articolo «Identità e valutazione corretta di sé». Come valutare correttamente se stesso? Come realizzare una sana identità, senza sbavature, distorsioni e dipendenze?

     Alcuni intraprendono un lungo viaggio in se stessi alla sedicente scoperta di ciò, che si è. Certamente, chi cerca e analizza se stesso, qualcosa trova pure e un po’ ci si conosce meglio; sarà ciò, però, una valutazione corretta di sé e sarà ciò a dare l’identità? Può succedere allora che più si scava e più si è meno sicuri di ciò, che si è veramente. Dopo aver scavato una lunga galleria alla ricerca del «conosci te stesso», si approda al nulla, scoprendo che uno ha appena scalfito la superficie di un immenso iceberg. La via mistica, gnostica e psicologica alla ricerca della propria identità in se stessi non farà che approdare al nulla; tutt’al più farà scavare buchi nell’anima.

     Biblicamente parlando, la ricerca della propria identità è una ricerca delle proprie radici, una ricerca di Dio, alla cui immagine si è creati. Trovare e scoprire il Dio vivente significa confrontarsi con la Verità, nei confronti della quale è possibile misurarsi e scoprire chi si è veramente. A ciò si aggiunga che chi conosce Dio personalmente, può porre la propria fiducia in Lui e fare come il paziente col medico di fiducia, a cui ci si affida per essere visitato e analizzato e per sapere come si sta.

     Perciò, il salmista chiese a Dio: «Investigami, o Dio, e conosci il mio cuore. Esaminami, e conosci i miei pensieri» (Sal 139,23). Non a caso, il Dio vivente si presenta e viene dichiarato come «Colui che esamina le reni e il cuore» (Ger 11,20, 17,10; 20,12), ossia la coscienza e la mente. Davide stesso chiedeva a Dio: «Scrutami o Eterno, e sperimentami; esamina le mie reni e il mio cuore» (Sal 26,2). Biblicamente parlando, solo da ciò può risultare una diagnosi corretta, una concreta terapia per l’anima e, quindi, una corretta valutazione di sé e una vera identità.

 

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

1. Claudia Biscotti

2. Edoardo Piacentini

3. Rita Fabi

4. Rosa Battista

5. Vico Geboin, ps.

6. Fortuna Fico

7. Vico Geboin, ps.

8. Rita Fabi

9.

10.

11.

12. Autori vari

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Claudia Biscotti}

 

Qualche anno fa, avrei dissentito su quanto dici nell’articolo; ma oggi, concordo, grazie anche all’esperienza. Tanto tempo fa, ero certissima di conoscere alcuni aspetti di me e del mio modo di essere, forse a motivo dell’educazione ricevuta e di quel particolare pensiero così comune a tutti, che ti fa dire: «Io sono fatta/o così». Sbandieravo ai quattro venti e mi vantavo dei miei «punti forti», ma non sapevo cosa c’era dopo la curva.

     Penso che il Signore mi abbia voluto far vedere, che dovevo stare attenta a non cadere; mentre pensavo di stare in piedi, sono caduta...e a volte anche rovinosamente. Duro colpo per il m-Io Ego e per Me stessa! Oggi ho un opinione di me più equilibrata di prima, anche se è un continuo lavoro di «definizione di me». Grazie a Dio, che conosce chi sono e che mi «valuta» degna del suo amore, altrimenti sarei perduta tra l’Io, l’Ego e Me Stessa.

     Grazie a te, Nicola, per i tuoi interessanti articoli. ☺ {08-07-2012}

 

 

2. {Edoardo Piacentini}

 

Contributo: Caro Nicola, come si suol dire, hai messo «il dito nella piaga», perché ci sono credenti, che si sentono giustamente sottovalutati; e ce ne sono altri che, invece, si sopravvalutano. In entrambi i casi, tutto ciò è causa di turbamento, sia per chi recrimina un ruolo diverso all’interno della comunità, sia per la comunità stessa, che avverte il malumore di costoro.

     Nel primo caso, coloro che si sentono sottovalutati sono contrastati, di solito, da chi è in autorità nella comunità. Questi, per difendere il suo primato nella chiesa, non è disposto a condividere con altri il ministero della predicazione o dell’insegnamento, malgrado la Scrittura insegni chiaramente la collegialità. In 1 Timoteo 3,1 è scritto che, se uno aspira all’incarico di sorvegliante, desidera un’attività lodevole. Chi è veramente chiamato all’ufficio pastorale, desidera semplicemente servire il Signore e il suo popolo. Purtroppo, accade spesso che il pastore della comunità, invece di essere lieto che nella chiesa, che ha l’onore di curare, emergono altri servitori di Dio, grazie anche al suo lavoro spirituale svolto, considera come un suo ipotetico concorrente chi reclama, giustamente, di avere un ruolo diverso nell’ambito della comunità. La separazione, pertanto, è inevitabile, e in questo caso è finanche voluta da Dio!

     Il secondo caso, più frequente, è una piaga nel nostro ambiente. Infatti, persone, che non hanno una chiara vocazione, solo per assecondare la loro ambizione spirituale, creano problemi nella chiesa del Signore, perché vogliono emergere a tutti i costi, senza avere le qualità prescritte, per svolgere un ministero e senza aver ricevuto una precisa chiamata dal Signore. Anche costoro creano divisioni, con la conseguenza che si moltiplicano le comunità condotte da persone, che non sono capaci di portare avanti l’opera di Dio con sapienza e con le attitudini giuste, descritte minuziosamente dalla Scrittura.

     Per tale motivo l’apostolo Paolo ci esorta a non avere un’opinione di noi falsata, e questa esortazione vale per tutti, anche per chi già svolge un ministero e non intende avvalersi della collaborazione di altri credenti, che Dio ha chiamato al suo servizio. {08-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Nella valutazione corretta di sé sottovalutarsi e sopravalutarsi è facile; e ciò può succedere anche da parte di altri con risultati pesanti in ambedue i casi per quello che si è e quello che si fa. Ammetto che, quando ho scritto l’articolo di riferimento, non avevo pensato ai risvolti ecclesiologici e ministeriali. È interessante notare come nutrire una identità sbagliata abbia una pesante conseguenza per l’opera di Dio. Ciò vale per il conduttore monocratico con un grande Ego, quando tiene tutti gli altri credenti soggiogati, come fa un domatore, ritenendoli concorrenti; i risultati drammatici per tale comunità sono prevedibili. Ciò vale anche per l’uomo ambizioso senza chiamata divina e senza qualità e carismi adatti; non avendo un concetto sobrio di se stesso, lavora alla prossima spaccatura di chiesa, rivestendo la sua carnalità con false motivazioni spirituali.

 

 

3. {Rita Fabi}

 

Contributo: La Bibbia ci dice che Dio ci ha resi degni, quando ci ha scelti per essere il suo popolo; basta leggere Efesini 1, per capire ciò che ci ha resi Dio. Per questo motivo solo Lui è degno di onore e lode non certo noi. Dobbiamo comportarci con umiltà, considerando gli altri più importanti di noi stessi (lo leggiamo in Filippesi 2,3), però dobbiamo anche avere una concezione positiva ed equilibrata di noi stessi. In Romani 12,3, quindi, come ben hai detto tu, caro Nicola, veniamo avvisati: «Dico, quindi, a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello, che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnato a ciascuno».

     Ora, però, è pur vero che molti cristiani, convinti che il giusto concetto di se stessi sia solo nella dimostrazione dell’umiltà, si comportano come se avessero una bassa autostima; e, a volte, questa stessa mancanza di autostima diventa nello stesso tempo orgoglio. Secondo me, alcuni hanno, infatti, una bassa autostima per far pena agli altri, per avere le loro attenzioni, per farsi compiangere. Potrebbe essere un modo di dire «guardatemi», proprio come per l’orgoglioso. Si prendono due strade differenti, ma si arriva allo stesso egocentrismo.

     Invece che dare tutte queste attenzioni a noi stessi, quindi, dobbiamo concentrarci solo su Dio, che ci sostiene, perché è proprio guardando solo al nostro rapporto con Lui che riusciamo a comprendere davvero il giusto e sobrio modo di vedere noi stessi. Infatti, la nostra opinione su noi stessi non deve dipendere da cosa facciamo noi, ma da ciò che siamo in Cristo e da ciò che Lui ci porta a fare. Dobbiamo umiliarci, si, ma soprattutto di fronte a Lui.

     I cristiani, secondo me, possono e devono avere una buona opinione di sé, ma solo se hanno una buona relazione con Dio. Sappiamo con certezza che abbiamo un grande valore, perché è Dio lo ha pagato per noi, attraverso il sangue di suo Figlio, Gesù Cristo. Quello che deve guidare la nostra vita cristiana, quindi, è quanto viene detto in queste parole di 2 Corinzi 13,5: «Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo». Solo se riconosciamo davvero Gesù in noi, allora possiamo dire di avere il giusto e sobrio concetto di noi stessi. {08-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Il timore di Dio e il cristocentrismo sono il rimedio migliore contro molte patologie dello spirito, ed esempio, contro la falsa umiltà, contro l’orgoglio rivestito di un’apparente remissività, contro la carne rivestita di una falsa spiritualità, contro una bassa autostima, contro l’autocommiserazione e contro altre manovre dell’Io.

 

 

4. {Rosa Battista}

 

Contributo: E in relazione a questo, ossia a una corretta valutazione di sé, sorge la domanda: Quando uno è umile e quando uno è orgoglioso? {08-07-2012}

Osservazioni (Claudia Biscotti): ...del tipo essere orgogliosi della propria umiltà? Può essere un rischio ma io credo che l’orgoglio e l’umiltà non siano realmente percepite dalla stessa persona. Mi spiego. Io posso sentirmi orgogliosa; ma se sono umile, lo possono percepire gli altri. L’orgoglio è un sentire, l’umiltà è un modo di essere, un atteggiamento. {09-07-2012}

 

Osservazioni (Nicola Martella): Oltre a quanto è stato già detto, per la domanda «Quando uno è umile e quando uno è orgoglioso?», rimando a quanto verrà ancora detto sotto da Rita Fabi e dal sottoscritto. [ 8.]

 

 

5. {Vico Geboin, ps.}

 

Contributo: Mi rispecchio tanto nella sorella Claudia. Qualche anno fa, avevo me come obiettivo, pensavo alla vecchiaia, dovevo costruire qualcosa, non sicuramente Cristo in me. Ma Dio, come è stato con Giobbe, mi ha provato, mi ha raffinato e ancora oggi mi mette alla prova, per uscirne spero come l’oro puro. Ora mi sento come Paolo e mi rispecchio in lui: per me vivere è Cristo, morire è guadagno; se vivo, sono un servitore della volontà del Padre, nostro Signore.

     Come posso valutarmi da me stesso? A 52 anni, posso dire che i miei obiettivi sono radicalmente cambiati. Non ne ho più obiettivi terreni, anche se ogni giorno devo affrontarli. Spesso mi sento sindacalista (deformazione professionale, facevo parte del sindacato scuola e RSU) nel senso di uguaglianza e parità, ma Cristo è il primo sindacalista: chi è più in alto, sia vostro servitore. Mi posso esaminare ancora, se sono nella fede, e lo sono. Tuttavia, come detto prima, sono gli altri a dire come sono io. So che sono un granello di sale e, come tale, devo salare; e questo il mio scopo terreno e non altro. Io devo essere uno specchio come quelli di Archimede a Siracusa, che rispecchiavano la luce per annientare il nemico, «satana». {09-07-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Non ho capito tutto in quest'ultimo contributo. Sono rimasto un po' perplesso dinanzi a frasi come quella di voler «annientare il nemico, “satana”»; dove è mai comandata una cosa del genere?

     Detto questo, in quanto segue, prendo spunto dal contributo di queste lettore, per introdurre alcune osservazioni di tipo pastorale, che vanno di là da quanto egli ha espresso e che valgono per tutti.

     Il rischio di chiunque ha avuto se stesso come obiettivo nel passato, è che rimanga tale anche quando entra nella fede. Come nel nominato Giobbe, se non si è vigili, nelle prove restano motivi segreti, che portano inconsciamente ad accusare Dio, per scusare se stessi: «Vuoi tu proprio annullare il mio giudizio? condannare me per giustificare te stesso?» (Gb 40,8; cfr. Rm 2,15). Ciò accade, spesso inconsciamente, anche ai credenti d'oggi. Ciò accade specialmente quando ci si sente trattati ingiustamente da Dio, dalla vita e dagli altri o si nutre una bassa autostima.

     Quindi, bisogna stare molto attenti alle «inconsce manovre dei pii». Penso a Maria e Aaronne, quando trovarono un motivo per screditare Mosè (Nu 12). Penso a Datan, Abiram e ai suoi accoliti, quando screditarono Mosè e Aaronne in nome di una «democrazia cultuale» (Nu 16,1ss; Sal 106,17s). Penso pure alle furbizie di Giacomo e Giovanni (Mc 10,35ss) o, peggio, a quelle di Anania e Saffira (At 5,1ss). In tali casi, lo spirito vuole una cosa e la carne un'altra e di sovente si spiritualizza falsamente la carne. In altri casi, si realizza con la mente di voler vivere Cristo, ma nella pratica ci si auto-commisera e affligge per ogni torto, vero o presunto che sia. Nell’intenzione si vuole servire Dio, ma nella pratica si vuole decidere come. Nella teoria si vuole morire a se stessi, nella pratica si fanno rivendicazioni palesi o segrete a Dio. Si desidera essere modelli per gli altri, ma nella pratica si vive senza sostanza e spessore. Tutto ciò non contribuisce certo a una vera identità cristiana.

 

Replica (Vico Geboin, ps.): Carissimo mi dispiace ma hai completamente frainteso quello che volevo dire. Per ultimo tu riporti che voglio annientare satana na il pensiero era quello di combattere le tentazioni di satana con cristo che vive in te. Sindacalista infendevo che nella chiesa di cristo ogni nembro ha bisogno dell’altro membro nel senso colleggiale della chiesa. Noi siamo il sale della terra tutta la chiesa e il sale e noi singolarmete come granelli di sale, mi didpiace se tu non ti senti tale e sei insipido, siamo chiamati a salare. Per quanto riguarda servire cristo non sono io certamente a decidere come na lo spirito, se lo ascolti, ci guida indicandoci la giusta via da percorrere, le cose decise da se stessi non portano sicuramente alla gloria di Dio. L’identitá cristiana é amore dove tutto ci riporta. {10-07-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Nonostante le mie correzioni grammaticali e sintattiche e l’aggiunta di sufficiente punteggiatura, i periodi risultano di difficile comprensione e le locuzioni usate singolari. L’ultimo contributo l’ho lasciato apposta senza correzione, per mostrare che tipo di testo mi arriva; il modo di scrivere rivela sempre il tipo di personalità. Ho evidenziato col grassetto soltanto alcuni concetti, per aiutare chi legge.

     Come ho espresso sopra, le mie osservazioni pastorali sono di carattere generale; d’altra parte, però, posso solo basarmi su ciò, che è stato scritto. Dopo le mie osservazioni, si può sempre dire: «In ciò io volevo esprimere che...». Perché non esprimersi allora subito in modo chiaro e comprensibile, riflettendo sul proprio scritto un paio di volte, correggendo gli errori e rendendolo più chiaro a chi lo leggerà? Perciò, non commenterò l’ultimo contributo.

 

 

6. {Fortuna Fico}

 

Contributo: Nel momento in cui dici di essere umile, non lo sei! Molti si «vantano» della propria umiltà , mentre invece dovrebbero essere gli altri a riconoscerlo.

     Chi sono io? Una salvata per grazia, che non era nemmeno degna di alzare gli occhi verso il Signore, ma che invece lo faceva e sfidava persino Dio. Tuttavia, col tempo, Egli mi ha fatto vedere che l’opinione, che avevo di me stessa, mi aveva portato a essere una donna infelice ma testarda, insicura ma orgogliosa, che combatteva battaglie perse confidando sulla propria forza. Ciò è durato fino a che il Signore ha avuto pietà di me, e mi ha mostrato che senza di Lui ero «nulla».

     Ora, continuo a sentirmi una persona consapevole di non essere in grado di poter far nulla senza l’aiuto del Signore. Per questo affido a Lui ogni mio problema e ogni mio progetto, sapendo di aver fatto la scelta migliore. {09-07-2012}

 

Osservazioni (Rita Fabi): Esatto cara Fortuna, il concetto vero di umiltà è proprio nel non sbandierare il proprio stato, ma di esserlo in silenzio, stando in ascolto di Dio. È un po’ come la storia di Marta e Maria: l’una affaccendata e l’altra ferma ai suoi piedi; oppure c’è la parabola del pubblicano e del peccatore. Noi da soli non possiamo nulla e non siamo nulla, l’unico cambiamento nella nostra vita lo porta Dio. Ecco, perché dico che molti nel parlare della loro umiltà, e di ciò che «hanno fatto» per cambiare la propria vita, cadono nel vanto del proprio ego come gli orgogliosi; perché il nostro cambiamento non dipende affatto da ciò, che possiamo noi, ma dall’opera di Dio in noi.

     E, comunque, il disprezzo di se stessi, una volta rinati, non è una cosa buona lo stesso, secondo me, perché significa non considerare appieno il valore del sacrificio e quanto siamo costati a Dio. E noi valiamo tanto più, se consideriamo quanto grande sia stato questo valore. {09-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Quanto detto sopra, nel punto precedente, sulle «inconsce manovre dei pii» valga qui anche per quanto detto da Fortuna Fico. Come ella ha espresso, si accetta la grazia, ma allo stesso tempo si fanno rivendicazioni a Dio. Quando ci si arena sullo scoglio del proprio io, si pensa addirittura di potersi servire di Dio per le proprie battaglie della carne. Accettando dapprima Gesù soltanto come Salvatore e non arrendendosi a Lui come Signore, si sviluppano singolari ambivalenze nell’animo e nel carattere, un’ambiguità fra ciò che si è e si vorrebbe essere, fra ciò che si vive dentro e si dà ad apparire fuori. Altro che identità salutare! L’infelicità è programmata, come pure la conflittualità verso il prossimo, in cui la carne è rivestita da apparenti motivi spirituali. È chiaro che allora le battaglie sono perse; e anche laddove si vince, ci si sente sconfitti comunque.

     Da una parte vi è la falsa umiltà rivestita di pretese e false rivendicazioni verso Dio e gli uomini. Dall’altra, si nutre il disprezzo di se stessi. Dal primo credere in Gesù come Salvatore alla resa a Cristo come Signore della propria vita, il cammino può essere lungo. Tuttavia, solo allora ci sarà un’identità salutare.

 

 

7. {Vico Geboin, ps.}

 

Contributo: Secondo il Salmo 139, solo Dio conosce appieno la nostra identità e solo lui può farne una valutazione corretta. Noi, invece, in quanto peccatori, per nostra natura, ma salvati, oggi possiamo dire una cosa e domani possiamo dirne un’altra; oggi siamo convinti in una certa maniera, ma domani possiamo cambiare ed esserne convinti in un’altra; noi aspiriamo alla perfezione. {09-07-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): È vero che nel Salmo 139 ci sono spunti per trovare la giusta identità. Infatti, Dio ci conosce meglio e in modo più oggettivo di quanto possiamo fare noi stessi, poiché Egli è dappertutto, conosce ogni cosa e ogni passo del credente (vv. 1-12). A ciò si aggiunga, che il Signore è il progettista della vita e dei meccanismi della gravidanza (vv. 13-16). La mente umana riesce a considerare soltanto poca cosa della ricchezza della mente di Dio (vv. 17s). Egli realizza che dinanzi a Dio deve prendere posizione rispetto al male e ai malvagi, che sono destinati al giudizio (vv. 19-22). A questo punto, invece di nascondersi dinanzi a Dio, si abbandona fiducioso come una persona fa nelle mani del suo dottore di fiducia per fare un check-up completo (vv. 23s).

     Ora, sebbene possiamo essere mutevoli in alcune cose marginali, come credenti non seguiamo la seguente via: «Oggi possiamo dire una cosa e domani possiamo dirne un altra, oggi siamo convinti in una certa maniera, ma domani possiamo cambiare ed esserne convinti in un altra». Sebbene in ciò non ci sia l’intenzione, credo, ma c’è il rischio di far intendere di voler mettere in discussione i primi elementi della fede (cfr. Eb 5,12ss; 6,1s). Oppure si può apparire come quei «bambini, sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore» (Ef 4,14). Ciò non crea identità, ma solo confusione. La fonte di un’identità biblica salutare sta al verso successivo: «...ma che, tenendo ferma la verità in amore, noi cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo» (v. 15).

     Noi, per essere sani e per avere un’identità salutare, adeguiamo la nostra vita alla verità biblica, a mano a mano che ne abbiamo la rivelazione e la forza. Dio, dicendo «sì» in Cristo, ci rende fermi, dopo averci unti, sigillati e averci data la caparra dello Spirito (2 Cor 1,19-22). La domanda è questa: «Le cose che delibero, le delibero io secondo la carne, talché un momento io dica «Sì, sì» e l’altro «No, no”? Ora com’è vero che Dio è fedele, la parola che vi abbiamo rivolta non è «sì» e «no». Perché il Figlio di Dio, Cristo Gesù, che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato «sì» e «no»; ma è «sì» in lui» (2 Cor 1,17ss; cfr. Gcm 5,12).

 

Replica (Vico Geboin, ps.): Io parlavo di adeguamento, per arrivare alla perfezione, e non di essere sballottati. Adeguamento della carne, del nostro modo di vivere, del nostro modo di essere rispetto agli altri, rimanendo sempre ferma la nostra fede, il fondamento della nostra esistenza, «Cristo», ma anche della conoscenza; oggi conosciamo in parte, ma ogni giorno passa e più si avvicina il ritorno di nostro Signore. Dio ci rivela cose, che prima non vedevamo, e in figura di questo ci adeguiamo. {09-07-2012}

 

Risposta 2 (Nicola Martella): Ho cercato di metterci un po’ di punteggiatura, ma è difficile lo stesso comprendere ciò, che scrivi. Se vuoi essere ben compreso, formula le tue frasi in modo più chiaro. Un primo passo è evitare mega-frasi a scatole cinesi e fare frasi più brevi e comprensibili. Allora, esprimendo un pensiero lineare, ce ne guadagnerai anche quanto a comprensione di te stesso e d’identità. Quest’ultimo è il tema qui.

 

 

8. {Rita Fabi}

 

Contributo: Rileggendo il tema della discussione e i vari commenti, mi rendo conto che quasi sempre nel definire il carattere cristiano, si parla di umiltà; ma ripensando a tutti i cristiani, che ci hanno preceduto, parlo di veri cristiani, il vero carattere del cristiano, secondo me, consiste nel coraggio. Il primo atto coraggioso, che Dio ci dona, è nel momento della salvezza, ed è il pentimento e il dichiararsi dei peccatori; e infatti è proprio nel coraggio di dichiararsi tali e apertamente che un cristiano abbandona il vecchio ego e si umilia davanti a Dio. È proprio nel coraggio, che egli si predispone a umiliarsi, se occorre, di fronte agli altri. Ed è nel coraggio, che egli affronta qualsiasi persecuzione per il proprio Salvatore, dichiarandosi apertamente cristiano. È nel coraggio, che egli trova la forza di denunciare le eresie nella chiesa, pur affrontando gli allontanamenti. È nel coraggio, che egli trova la forza di andare contro le dottrine errate, anche se dette dal proprio pastore. Ed è nel coraggio, che egli trova, infine, la forza di affrontare anche la morte, pur di non rinnegare mai Dio. «Allora vi abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome» (Matteo 24,9).

     Secondo me, la prima meravigliosa modifica in se stessi, che dà prova dello Spirito Santo dentro di noi, è quella di essere trasformati in uomini e donne coraggiosi. A tal senso ripenso sempre al cambiamento di Pietro, che da uomo pavido e pronto a rinnegare, si ritrova ad affrontare qualsiasi prova, una volta ricevuto lo Spirito Santo. Oppure penso ad Abramo, che trova il coraggio di uccidere quel figlio tanto atteso, pur di mantenere la propria ubbidienza a Dio. Ecco, secondo me, il coraggio è la dimostrazione vera della fede in qualcosa, che non si vede, ma si spera e che dà la forza per tutto. In questo cambiamento, che ci dà Dio nella sua forza, ritrovo anche il versetto usato da te, caro Nicola: «Se uno patisce come cristiano, non se ne vergogni, ma glorifichi Dio, portando questo nome» (1 Pt 4,16).

     Non so se mi sono spiegata perfettamente, ma questa per me è la vera identità del cristiano, una persona coraggiosa pronta ad andare controcorrente, camminando verso Dio con alle spalle il mondo. Nicola, tu finisci la tua nota con queste parole: «Come un generale mostra di che stoffa è fatto sul campo, così anche i cristiani biblici diventano consapevoli e mostrano chi essi sono veramente, diventando esecutori della volontà di Dio in corrispondenza della facoltà morali e spirituali, che posseggono». Bene questo è possibile, solo se uno ha avuto dallo Spirito Santo quel dono del coraggio, che è una delle doti essenziali per essere cristiani. {10-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Per chi trova la propria identità quale «immagine di Dio» ricreata in Cristo, umiltà e coraggio non sono contraddizioni, ma le due parti della stessa medaglia della sottomissione al Signore, del timor di Dio e dell’ubbidienza alla sua volontà. L’umile vero è chi aderisce con coraggio e determinazione al pensiero di Dio, rivelato nella sacra Scrittura ed evinto con un’attenta lettura e analisi contestuale, e adegua il suo proprio pensiero e la sua vita alla volontà di Dio.

     Ad esempio, se un cristiano biblico scopre che una certa cosa nella sua vita è peccato, che genera colpa dinanzi a Dio, la sua umiltà sta nello spogliare la carne e rivestire «l’uomo nuovo», il nuovo modo di pensare e agire. Tale determinazione gli conferirà una valutazione corretta di sé e maggiore identità.

     Un altro esempio, se qualcuno diventa credente, leggendo la Bibbia personalmente o leggendo in rete articoli altrui, e un giorno il Signore gli fa comprendere, in qualche modo, che un cristianesimo solitario e da «senza chiesa» non è nella sua volontà, la sua umiltà dinanzi al comandamento divino lo porterà a chiedere con determinazione come adempiere a quest’ordine divino e si metterà alla ricerca di una comunità dottrinalmente ed eticamente sana. Magari ciò potrà significare anche che dobbiamo tirare da sotto il letto la nostra lampada e dobbiamo farla risplendere nel luogo dove siamo. Magari ciò potrà significare anche che dobbiamo aprire la nostra vita alle possibilità di Dio, per essere usati come strumento per l’avanzamento dell’Evangelo là, dove siamo e viviamo.

     Come si vede, l’umiltà biblicamente intesa quale timore riverenziale per Dio e il coraggio quale determinazione di realizzare la volontà di Dio, non sono affatto in contraddizione, ma sono due facce della stessa medaglia.

     I falsi umili sono i disubbidienti, che fanno scelte senza il Signore e poi gli chiedono di benedirle, appellandosi a un amore male inteso. Tali persone, come bambini capricciosi, non potranno mai avere una valutazione corretta di sé, né una giusta identità di seguace di Cristo.

 

Replica (Rita Fabi): Sono perfettamente d’accordo, perché la vera umiltà richiede grande coraggio. {10-07-2012}

 

 

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12. {Autori vari}

 

Salvatore Paone: Nicola, questo articolo, che hai scritto, è degno di essere pubblicato. Esso è scritto dalla tua mano, ma è sospinto dallo Spirito Santo. Ciò che affermi è vero, e lo condivido pienamente. Gloria a Dio, per i talenti e i doni, che Egli elargisce alla sua chiesa. Grazie. {11-07-2012}

 

► URL: http://diakrisis.altervista.org//_Cres/T1-Identita_valutarsi_Ori.htm

10-07-2012; Aggiornamento: 13-07-2012

 

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