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1. {Claudia Biscotti}
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Qualche anno fa,
avrei dissentito su quanto dici nell’articolo; ma oggi, concordo, grazie
anche all’esperienza. Tanto tempo fa, ero certissima di conoscere
alcuni aspetti di me e del mio modo di essere, forse a motivo dell’educazione
ricevuta e di quel particolare pensiero così comune a tutti, che ti fa dire: «Io
sono fatta/o così». Sbandieravo ai quattro venti e mi vantavo dei miei «punti
forti», ma non sapevo cosa c’era dopo la curva.
Penso che il
Signore mi abbia voluto far vedere, che dovevo stare attenta a non cadere;
mentre pensavo di stare in piedi, sono caduta...e a volte anche
rovinosamente. Duro colpo per il m-Io Ego e per Me stessa! Oggi ho un opinione
di me più equilibrata di prima, anche se è un continuo lavoro di «definizione
di me». Grazie a Dio, che conosce chi sono e che mi «valuta» degna del suo
amore, altrimenti sarei perduta tra l’Io, l’Ego e Me Stessa.
Grazie a te, Nicola, per i tuoi interessanti
articoli. ☺ {08-07-2012}
2. {Edoardo Piacentini}
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Contributo:
Caro Nicola, come si suol dire, hai messo «il dito nella piaga», perché ci sono
credenti, che si sentono giustamente sottovalutati; e ce ne sono altri
che, invece, si sopravvalutano. In entrambi i casi, tutto ciò è causa di
turbamento, sia per chi recrimina un ruolo diverso all’interno della
comunità, sia per la comunità stessa, che avverte il malumore di costoro.
Nel primo caso, coloro che si sentono
sottovalutati sono contrastati, di solito, da chi è in autorità nella
comunità. Questi, per difendere il suo primato nella chiesa, non è disposto a
condividere con altri il ministero della predicazione o dell’insegnamento,
malgrado la Scrittura insegni chiaramente la collegialità. In 1 Timoteo 3,1 è
scritto che, se uno aspira all’incarico di sorvegliante, desidera un’attività
lodevole. Chi è veramente chiamato all’ufficio pastorale, desidera semplicemente
servire il Signore e il suo popolo. Purtroppo, accade spesso che il pastore
della comunità, invece di essere lieto che nella chiesa, che ha l’onore di
curare, emergono altri servitori di Dio, grazie anche al suo lavoro spirituale
svolto, considera come un suo ipotetico concorrente chi reclama,
giustamente, di avere un ruolo diverso nell’ambito della comunità. La
separazione, pertanto, è inevitabile, e in questo caso è finanche voluta da
Dio!
Il secondo caso, più frequente, è una piaga nel
nostro ambiente. Infatti, persone, che non hanno una chiara vocazione, solo per
assecondare la loro ambizione spirituale, creano problemi nella chiesa
del Signore, perché vogliono emergere a tutti i costi, senza avere le
qualità prescritte, per svolgere un ministero e senza aver ricevuto una
precisa chiamata dal Signore. Anche costoro creano divisioni, con la
conseguenza che si moltiplicano le comunità condotte da persone, che non sono
capaci di portare avanti l’opera di Dio con sapienza e con le attitudini
giuste, descritte minuziosamente dalla Scrittura.
Per tale motivo l’apostolo Paolo ci esorta a non
avere un’opinione di noi falsata, e questa esortazione vale per tutti, anche
per chi già svolge un ministero e non intende avvalersi della collaborazione di
altri credenti, che Dio ha chiamato al suo servizio. {08-07-2012}
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Risposta (Nicola Martella): Nella valutazione corretta
di sé sottovalutarsi e sopravalutarsi è facile; e ciò può
succedere anche da parte di altri con risultati pesanti in ambedue i casi per
quello che si è e quello che si fa. Ammetto che, quando ho scritto l’articolo di
riferimento, non avevo pensato ai risvolti ecclesiologici e ministeriali.
È interessante notare come nutrire una identità sbagliata abbia una pesante
conseguenza per l’opera di Dio. Ciò vale per il conduttore monocratico
con un grande Ego, quando tiene tutti gli altri credenti soggiogati, come fa un
domatore, ritenendoli concorrenti; i risultati drammatici per tale comunità sono
prevedibili. Ciò vale anche per l’uomo ambizioso senza chiamata divina e
senza qualità e carismi adatti; non avendo un concetto sobrio di se stesso,
lavora alla prossima spaccatura di chiesa, rivestendo la sua carnalità con false
motivazioni spirituali.
3. {Rita Fabi}
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Contributo:
La Bibbia ci dice che Dio ci ha resi degni, quando ci ha scelti per
essere il suo popolo; basta leggere Efesini 1, per capire ciò che ci ha resi
Dio. Per questo motivo solo Lui è degno di onore e lode non certo noi.
Dobbiamo comportarci con umiltà, considerando gli altri più importanti di
noi stessi (lo leggiamo in Filippesi 2,3), però dobbiamo anche avere una
concezione positiva ed equilibrata di noi stessi. In Romani 12,3, quindi,
come ben hai detto tu, caro Nicola, veniamo avvisati: «Dico, quindi, a
ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello, che
deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede
che Dio ha assegnato a ciascuno».
Ora, però, è
pur vero che molti cristiani, convinti che il giusto concetto di se stessi sia
solo nella dimostrazione dell’umiltà, si comportano come se avessero una
bassa autostima; e, a volte, questa stessa mancanza di autostima diventa
nello stesso tempo orgoglio. Secondo me, alcuni hanno, infatti, una bassa
autostima per far pena agli altri, per avere le loro attenzioni, per
farsi compiangere. Potrebbe essere un modo di dire «guardatemi», proprio come
per l’orgoglioso. Si prendono due strade differenti, ma si arriva allo stesso
egocentrismo.
Invece che
dare tutte queste attenzioni a noi stessi, quindi, dobbiamo concentrarci solo
su Dio, che ci sostiene, perché è proprio guardando solo al nostro rapporto
con Lui che riusciamo a comprendere davvero il giusto e sobrio modo di vedere
noi stessi. Infatti, la nostra opinione su noi stessi non deve dipendere da cosa
facciamo noi, ma da ciò che siamo in Cristo e da ciò che Lui ci porta a
fare. Dobbiamo umiliarci, si, ma soprattutto di fronte a Lui.
I cristiani,
secondo me, possono e devono avere una buona opinione di sé, ma solo se
hanno una buona relazione con Dio. Sappiamo con certezza che abbiamo un
grande valore, perché è Dio lo ha pagato per noi, attraverso il sangue di
suo Figlio, Gesù Cristo. Quello che deve guidare la nostra vita cristiana,
quindi, è quanto viene detto in queste parole di 2 Corinzi 13,5: «Esaminatevi
per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù
Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo». Solo se
riconosciamo davvero Gesù in noi, allora possiamo dire di avere il giusto e
sobrio concetto di noi stessi. {08-07-2012}
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Risposta (Nicola
Martella): Il timore di Dio e il cristocentrismo sono il rimedio
migliore contro molte patologie dello spirito, ed esempio, contro la falsa
umiltà, contro l’orgoglio rivestito di un’apparente remissività, contro la carne
rivestita di una falsa spiritualità, contro una bassa autostima, contro
l’autocommiserazione e contro altre manovre dell’Io.
4. {Rosa Battista}
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Contributo: E in relazione a questo,
ossia a una corretta valutazione di sé, sorge la domanda: Quando uno è umile
e quando uno è orgoglioso? {08-07-2012}
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Osservazioni
(Claudia Biscotti): ...del
tipo essere orgogliosi della propria umiltà? Può essere un rischio ma io
credo che l’orgoglio e l’umiltà non siano realmente percepite dalla stessa
persona. Mi spiego. Io posso sentirmi orgogliosa; ma se sono
umile, lo possono percepire gli altri. L’orgoglio è un sentire, l’umiltà è un
modo di essere, un atteggiamento. {09-07-2012}
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Osservazioni
(Nicola Martella):
Oltre a quanto è stato già detto, per la domanda «Quando
uno è umile
e quando uno è orgoglioso?»,
rimando a quanto verrà ancora detto sotto da Rita Fabi e dal sottoscritto. [►
8.]
5. {Vico
Geboin, ps.}
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Contributo:
Mi rispecchio tanto nella sorella Claudia. Qualche anno fa, avevo me come
obiettivo, pensavo alla vecchiaia, dovevo costruire qualcosa, non
sicuramente Cristo in me. Ma Dio, come è stato con Giobbe, mi ha provato,
mi ha raffinato e ancora oggi mi mette alla prova, per uscirne spero come l’oro
puro. Ora mi sento come Paolo e mi rispecchio in lui: per me vivere è Cristo,
morire è guadagno; se vivo, sono un servitore della volontà del Padre,
nostro Signore.
Come posso valutarmi da me stesso? A 52 anni, posso dire che i miei obiettivi
sono radicalmente cambiati. Non ne ho più obiettivi terreni, anche se ogni
giorno devo affrontarli. Spesso mi sento sindacalista (deformazione
professionale, facevo parte del sindacato scuola e RSU) nel senso di
uguaglianza e parità, ma Cristo è il primo sindacalista: chi è più in alto,
sia vostro servitore. Mi posso esaminare ancora, se sono nella fede, e lo
sono. Tuttavia, come detto prima, sono gli altri a dire come sono io. So che
sono un granello di sale e, come tale, devo salare; e questo il mio scopo
terreno e non altro. Io devo essere uno specchio come quelli di Archimede
a Siracusa, che rispecchiavano la luce per annientare il nemico, «satana».
{09-07-2012}
▬
Risposta 1 (Nicola
Martella): Non ho capito tutto in
quest'ultimo contributo. Sono rimasto un po' perplesso dinanzi a frasi come quella di voler «annientare il nemico, “satana”»; dove è mai comandata una
cosa del genere?
Detto questo, in quanto
segue, prendo spunto dal contributo di
queste lettore, per introdurre alcune osservazioni di tipo pastorale,
che vanno di là da quanto egli ha espresso e che valgono per tutti.
Il rischio di
chiunque ha avuto se stesso come obiettivo nel
passato, è che rimanga tale anche quando entra nella fede. Come nel nominato Giobbe, se non
si è vigili, nelle prove restano motivi segreti, che portano inconsciamente
ad accusare Dio, per scusare se stessi: «Vuoi tu proprio annullare il mio
giudizio? condannare me per giustificare te stesso?»
(Gb 40,8; cfr. Rm 2,15). Ciò accade, spesso inconsciamente, anche ai credenti
d'oggi. Ciò accade specialmente quando ci si sente trattati
ingiustamente da Dio, dalla vita e dagli altri o si nutre una bassa
autostima.
Quindi,
bisogna stare molto attenti alle «inconsce manovre dei pii». Penso a
Maria e Aaronne, quando trovarono un motivo per screditare Mosè (Nu 12). Penso a
Datan, Abiram e ai suoi accoliti, quando screditarono Mosè e Aaronne in nome di
una «democrazia cultuale» (Nu 16,1ss; Sal 106,17s). Penso pure alle furbizie di
Giacomo e Giovanni (Mc 10,35ss) o, peggio, a quelle di Anania e Saffira (At
5,1ss). In tali casi, lo spirito vuole una cosa e la carne un'altra e di sovente
si spiritualizza falsamente la carne. In altri casi, si
realizza con la mente di voler vivere Cristo, ma nella pratica ci si
auto-commisera e affligge per ogni torto, vero o presunto che sia.
Nell’intenzione si vuole servire Dio, ma nella pratica si vuole decidere
come. Nella teoria si vuole morire a se stessi, nella pratica si fanno
rivendicazioni palesi o segrete a Dio. Si desidera essere modelli per gli altri,
ma nella pratica si vive senza sostanza e spessore.
Tutto ciò non contribuisce certo a una vera
identità cristiana.
▬
Replica (Vico
Geboin, ps.): Carissimo mi dispiace
ma hai completamente frainteso quello che volevo dire. Per ultimo tu
riporti che voglio annientare satana na il pensiero era quello di
combattere le tentazioni di satana con cristo che vive in te. Sindacalista
infendevo che nella chiesa di cristo ogni nembro ha bisogno dell’altro membro
nel senso colleggiale della chiesa. Noi siamo il sale della terra tutta
la chiesa e il sale e noi singolarmete come granelli di sale, mi didpiace se tu
non ti senti tale e sei insipido, siamo chiamati a salare. Per quanto riguarda
servire cristo non sono io certamente a decidere come na lo spirito, se
lo ascolti, ci guida indicandoci la giusta via da percorrere, le cose decise da
se stessi non portano sicuramente alla gloria di Dio. L’identitá
cristiana é amore dove tutto ci riporta. {10-07-2012}
▬
Risposta 2
(Nicola Martella): Nonostante le mie correzioni grammaticali e
sintattiche e l’aggiunta di sufficiente punteggiatura, i periodi risultano di
difficile comprensione e le locuzioni usate singolari. L’ultimo contributo l’ho
lasciato apposta senza correzione, per mostrare che tipo di testo mi
arriva; il modo di scrivere rivela sempre il tipo di personalità. Ho evidenziato
col grassetto soltanto alcuni concetti, per aiutare chi legge.
Come ho espresso
sopra, le mie osservazioni pastorali sono di carattere generale; d’altra
parte, però, posso solo basarmi su ciò, che è stato scritto. Dopo le mie
osservazioni, si può sempre dire: «In ciò io volevo esprimere che...». Perché non
esprimersi allora subito in modo chiaro e comprensibile, riflettendo sul
proprio scritto un paio di volte, correggendo gli errori e rendendolo più chiaro
a chi lo leggerà? Perciò, non commenterò l’ultimo contributo.
6. {Fortuna Fico}
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Contributo:
Nel momento in cui dici di essere umile, non lo sei! Molti si «vantano»
della propria umiltà , mentre invece dovrebbero essere gli altri a
riconoscerlo.
Chi sono io? Una salvata per grazia, che non
era nemmeno degna di alzare gli occhi verso il Signore, ma che invece lo faceva
e sfidava persino Dio. Tuttavia, col tempo, Egli mi ha fatto vedere che
l’opinione, che avevo di me stessa, mi aveva portato a essere una donna
infelice ma testarda, insicura ma orgogliosa, che combatteva battaglie
perse confidando sulla propria forza. Ciò è durato fino a che il Signore ha
avuto pietà di me, e mi ha mostrato che senza di Lui ero «nulla».
Ora, continuo a
sentirmi una persona consapevole di non essere in grado di poter far
nulla senza l’aiuto del Signore. Per questo affido a Lui ogni mio
problema e ogni mio progetto, sapendo di aver fatto la scelta migliore.
{09-07-2012}
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Osservazioni
(Rita Fabi):
Esatto cara Fortuna, il concetto vero di umiltà è proprio nel non
sbandierare il proprio stato, ma di esserlo in silenzio, stando in ascolto di
Dio. È un po’ come la storia di Marta e Maria: l’una affaccendata e
l’altra ferma ai suoi piedi; oppure c’è la parabola del pubblicano e del
peccatore. Noi da soli non possiamo nulla e non siamo nulla, l’unico
cambiamento nella nostra vita lo porta Dio. Ecco, perché dico che molti
nel parlare della loro umiltà, e di ciò che «hanno fatto» per cambiare la
propria vita, cadono nel vanto del proprio ego come gli orgogliosi;
perché il nostro cambiamento non dipende affatto da ciò, che possiamo noi, ma
dall’opera di Dio in noi.
E, comunque,
il disprezzo di se stessi, una volta rinati, non è una cosa buona lo
stesso, secondo me, perché significa non considerare appieno il valore del
sacrificio e quanto siamo costati a Dio. E noi valiamo tanto più, se
consideriamo quanto grande sia stato questo valore. {09-07-2012}
▬
Risposta (Nicola
Martella): Quanto detto sopra, nel punto precedente, sulle «inconsce
manovre dei pii» valga qui anche per quanto detto
da Fortuna Fico. Come ella ha espresso, si accetta la grazia, ma allo stesso
tempo si fanno rivendicazioni a Dio. Quando ci si arena sullo scoglio del
proprio io, si pensa addirittura di potersi servire di Dio per le proprie
battaglie della carne. Accettando dapprima Gesù soltanto come Salvatore e non
arrendendosi a Lui come Signore, si sviluppano singolari ambivalenze
nell’animo e nel carattere, un’ambiguità fra ciò che si è e si vorrebbe
essere, fra ciò che si vive dentro e si dà ad apparire fuori. Altro che identità
salutare! L’infelicità è programmata, come pure la conflittualità
verso il prossimo, in cui la carne è rivestita da apparenti motivi spirituali. È
chiaro che allora le battaglie sono perse; e anche laddove si vince, ci si sente
sconfitti comunque.
Da una parte vi è la falsa
umiltà rivestita di pretese e false rivendicazioni verso Dio e gli uomini.
Dall’altra, si nutre il
disprezzo di se stessi.
Dal primo credere in Gesù come Salvatore alla resa
a Cristo come Signore della propria vita, il cammino può essere lungo.
Tuttavia, solo allora ci sarà un’identità salutare.
7. {Vico
Geboin, ps.}
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Contributo: Secondo il Salmo 139, solo
Dio conosce appieno la nostra identità e solo lui può farne una
valutazione corretta. Noi, invece, in quanto peccatori, per nostra natura, ma
salvati, oggi possiamo dire una cosa e domani possiamo dirne
un’altra; oggi siamo convinti in una certa maniera, ma domani possiamo cambiare
ed esserne convinti in un’altra; noi aspiriamo alla perfezione.
{09-07-2012}
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Risposta 1 (Nicola Martella):
È vero che nel Salmo 139 ci sono spunti per trovare la giusta identità.
Infatti, Dio ci conosce meglio e in modo più oggettivo di quanto possiamo
fare noi stessi, poiché Egli è dappertutto, conosce ogni cosa e ogni passo del
credente (vv. 1-12). A ciò si aggiunga, che il Signore è il progettista
della vita e dei meccanismi della gravidanza (vv. 13-16). La mente umana
riesce a considerare soltanto poca cosa della ricchezza della mente di Dio (vv.
17s). Egli realizza che dinanzi a Dio deve prendere posizione rispetto al
male e ai malvagi, che sono destinati al giudizio (vv. 19-22). A
questo punto, invece di nascondersi dinanzi a Dio, si abbandona fiducioso come
una persona fa nelle mani del suo dottore di fiducia per fare un check-up
completo (vv. 23s).
Ora, sebbene possiamo essere mutevoli in alcune cose
marginali, come credenti non seguiamo la seguente via: «Oggi possiamo
dire una cosa e domani possiamo dirne un altra, oggi siamo convinti in una certa
maniera, ma domani possiamo cambiare ed esserne convinti in un altra». Sebbene
in ciò non ci sia l’intenzione, credo, ma c’è il rischio di far intendere di
voler mettere in discussione i primi elementi della fede (cfr. Eb 5,12ss; 6,1s).
Oppure si può apparire come quei «bambini, sballottati e
portati qua e là da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, per
l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore»
(Ef 4,14). Ciò non crea identità, ma solo confusione. La fonte di
un’identità biblica salutare sta al verso successivo: «...ma che, tenendo
ferma la verità in amore, noi cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo,
cioè Cristo» (v. 15).
Noi, per essere
sani e per avere un’identità salutare, adeguiamo la nostra vita alla verità
biblica, a mano a mano che ne abbiamo la rivelazione e la forza. Dio,
dicendo «sì» in Cristo, ci rende fermi, dopo averci unti, sigillati e
averci data la caparra dello Spirito (2 Cor 1,19-22). La domanda è questa: «Le
cose che delibero, le delibero io secondo la carne, talché un momento io dica «Sì,
sì» e l’altro «No, no”? Ora com’è vero che Dio è fedele, la parola
che vi abbiamo rivolta non è «sì» e «no». Perché il Figlio di Dio, Cristo Gesù,
che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è
stato «sì» e «no»; ma è «sì» in lui» (2 Cor 1,17ss; cfr. Gcm 5,12).
▬
Replica (Vico Geboin, ps.): Io parlavo di adeguamento, per arrivare alla perfezione, e non di essere sballottati. Adeguamento della carne, del nostro modo di vivere, del nostro modo di essere rispetto agli altri, rimanendo sempre ferma la nostra fede, il fondamento della nostra esistenza, «Cristo», ma anche della conoscenza; oggi conosciamo in parte, ma ogni giorno passa e più si avvicina il ritorno di nostro Signore. Dio ci rivela cose, che prima non vedevamo, e in figura di questo ci adeguiamo. {09-07-2012}
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Risposta
2
(Nicola Martella): Ho cercato di metterci un po’ di punteggiatura, ma è
difficile lo stesso comprendere ciò, che scrivi. Se vuoi essere ben compreso,
formula le tue frasi in modo più chiaro. Un primo passo è evitare mega-frasi a
scatole cinesi e fare frasi più brevi e comprensibili. Allora, esprimendo un
pensiero lineare, ce ne guadagnerai anche quanto a comprensione di te stesso e
d’identità. Quest’ultimo è il tema qui.
8. {Rita Fabi}
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Contributo:
Rileggendo il tema della discussione e i vari commenti, mi rendo conto che quasi
sempre nel definire il carattere cristiano, si parla di umiltà; ma
ripensando a tutti i cristiani, che ci hanno preceduto, parlo di veri cristiani,
il vero carattere del cristiano, secondo me, consiste nel coraggio. Il
primo atto coraggioso, che Dio ci dona, è nel momento della salvezza, ed è il
pentimento e il dichiararsi dei peccatori; e infatti è proprio nel coraggio
di dichiararsi tali e apertamente che un cristiano abbandona il vecchio ego e
si umilia davanti a Dio. È proprio nel coraggio, che egli si predispone a
umiliarsi, se occorre, di fronte agli altri. Ed è nel coraggio, che egli
affronta qualsiasi persecuzione per il proprio Salvatore, dichiarandosi
apertamente cristiano. È nel coraggio, che egli trova la forza di denunciare
le eresie nella chiesa, pur affrontando gli allontanamenti. È nel coraggio,
che egli trova la forza di andare contro le dottrine errate, anche se
dette dal proprio pastore. Ed è nel coraggio, che egli trova, infine, la forza
di affrontare anche la morte, pur di non rinnegare mai Dio. «Allora vi
abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le
genti a motivo del mio nome» (Matteo 24,9).
Secondo me, la prima meravigliosa modifica in se
stessi, che dà prova dello Spirito Santo dentro di noi, è quella di essere
trasformati in uomini e donne coraggiosi. A tal senso ripenso sempre al
cambiamento di Pietro, che da uomo pavido e pronto a rinnegare, si
ritrova ad affrontare qualsiasi prova, una volta ricevuto lo Spirito Santo.
Oppure penso ad Abramo, che trova il coraggio di uccidere quel figlio
tanto atteso, pur di mantenere la propria ubbidienza a Dio. Ecco, secondo me, il
coraggio è la dimostrazione vera della fede in qualcosa, che non si vede,
ma si spera e che dà la forza per tutto. In questo cambiamento, che ci dà Dio
nella sua forza, ritrovo anche il versetto usato da te, caro Nicola: «Se uno
patisce come cristiano, non se ne vergogni, ma glorifichi Dio, portando questo
nome» (1 Pt 4,16).
Non so se mi sono spiegata perfettamente, ma questa
per me è la vera identità del cristiano, una persona coraggiosa pronta ad andare
controcorrente, camminando verso Dio con alle spalle il mondo. Nicola, tu
finisci la tua nota con queste parole: «Come un generale mostra di che stoffa è
fatto sul campo, così anche i cristiani biblici diventano consapevoli e mostrano
chi essi sono veramente, diventando esecutori della volontà di Dio in
corrispondenza della facoltà morali e spirituali, che posseggono». Bene questo è
possibile, solo se uno ha avuto dallo Spirito Santo quel dono del coraggio,
che è una delle doti essenziali per essere cristiani. {10-07-2012}
▬
Risposta (Nicola Martella): Per chi trova la
propria identità quale «immagine di Dio» ricreata in Cristo, umiltà e
coraggio non sono contraddizioni, ma le due parti della stessa medaglia
della sottomissione al Signore, del timor di Dio e dell’ubbidienza alla sua
volontà. L’umile vero è chi aderisce con coraggio e determinazione al
pensiero di Dio, rivelato nella sacra Scrittura ed evinto con un’attenta lettura
e analisi contestuale, e adegua il suo proprio pensiero e la sua vita alla
volontà di Dio.
Ad esempio, se un cristiano biblico scopre che una
certa cosa nella sua vita è peccato, che genera colpa dinanzi a Dio, la
sua umiltà sta nello spogliare la carne e rivestire «l’uomo nuovo», il
nuovo modo di pensare e agire. Tale determinazione gli conferirà una
valutazione corretta di sé e maggiore identità.
Un altro esempio, se qualcuno diventa credente,
leggendo la Bibbia personalmente o leggendo in rete articoli altrui, e un giorno
il Signore gli fa comprendere, in qualche modo, che un cristianesimo solitario e
da «senza chiesa» non è nella sua volontà, la sua umiltà dinanzi
al comandamento divino lo porterà a chiedere con determinazione come
adempiere a quest’ordine divino e si metterà alla ricerca di una comunità
dottrinalmente ed eticamente sana. Magari ciò potrà significare anche che
dobbiamo tirare da sotto il letto la nostra lampada e dobbiamo farla
risplendere nel luogo dove siamo. Magari ciò potrà significare anche che
dobbiamo aprire la nostra vita alle possibilità di Dio, per essere usati
come strumento per l’avanzamento dell’Evangelo là, dove siamo e viviamo.
Come si vede, l’umiltà biblicamente intesa quale
timore riverenziale per Dio e il coraggio quale determinazione di realizzare la
volontà di Dio, non sono affatto in contraddizione, ma sono due facce della
stessa medaglia.
I falsi umili sono i disubbidienti, che fanno
scelte senza il Signore e poi gli chiedono di benedirle, appellandosi a un amore
male inteso. Tali persone, come bambini capricciosi, non potranno mai
avere una valutazione corretta di sé, né una giusta identità di seguace di
Cristo.
▬
Replica (Rita Fabi): Sono perfettamente
d’accordo, perché la vera umiltà richiede grande coraggio. {10-07-2012}
9. {}
▲
10. {}
▲
11. {}
▲
12. {Autori
vari}
▲
■
Salvatore Paone: Nicola, questo
articolo, che hai scritto, è degno di essere pubblicato. Esso è scritto dalla
tua mano, ma è sospinto dallo Spirito Santo. Ciò che affermi è vero, e lo
condivido pienamente. Gloria a Dio, per i talenti e i doni, che Egli elargisce
alla sua chiesa. Grazie. {11-07-2012}
►
URL: http://diakrisis.altervista.org//_Cres/T1-Identita_valutarsi_Ori.htm
10-07-2012; Aggiornamento: 13-07-2012