1. Entriamo in tema
A una certa età diventa importante capire se stesso,
scoprire la propria identità, sapere chi si è veramente, che cosa si
vuole dalla vita, che cosa si intende realizzare e cose del genere. Tale
ricerca, chi in più e chi in meno, può durare tutta la vita.
Tempo fa, una mia ex-studentessa scrisse sulla sua
bacheca: «Se solo riuscissi a capire me stessa».
Lasciai lì la mia seguente massima intitolata «Zavorra
dell’ego»: «Quando ho smesso di capire
me stesso e di difendere la mia reputazione, sono diventato libero dalla zavorra
di me stesso e, pronto per servire Dio, la mia mongolfiera ha preso il volo».
Poi aggiunsi: Auguro anche a te di buttare giù la tua
zavorra e di spiccare un buon volo, aquilotto!
Ella mi rispose con una massima di William
Shakespeare: «La reputazione è una veste effimera e convenzionale,
guadagnata spesso senza merito e perduta senza colpa». Poi aggiunse: «Non me ne
importa tanto; ma d’avere un Giusto Concetto di me stessa, sì».
2. Un concetto giusto di me stesso
Un «concetto giusto» di noi stessi forse non l’avremo
mai veramente. Possiamo però esercitarci a non averne uno «più alto
di quello che [si] deve avere» e d’avere, quindi, «un concetto sobrio,
secondo al misura della fede, che Dio ha assegnata a ciascuno» (Rm 12,3).
In tutto ciò è meglio non friggersi il cervello ma,
come affermò Paolo, si fa bene a servire Dio con un «culto razionale»
(così in greco), che coinvolga il corpo (Rm 12,1). Inoltre bisogna porsi
controcorrente rispetto agli schemi del mondo e vivere nella
metamorfosi morale, che porta al rinnovamento della mente (v. 2a). Così
facendo s’acquisisce la capacità di riconoscere e di fare ciò, che piace a
Dio (v. 2b); questa bussola ci aiuta anche a collocarci rispetto a noi
stessi, sviluppando un «concetto giusto». In ogni modo, non si può avere ciò
senza una giusta collocazione rispetto al corpo di Cristo e alle altre membra
(vv. 4s), ossia agli alti credenti. Infine, il «concetto giusto» di noi stessi,
per continuare a usare tale designazione, si ha «facendo», ossia operando
in corrispondenza della grazia (charis) ricevuta e operante (carismi; vv.
6-13).
Quindi, sul piano operativo, più che un «concetto
giusto» si tratta di avere un concetto sobrio nel riconoscere «la misura
della fede, che Dio ha assegnata a ciascuno» (v. 3) e di operare «secondo
la grazia, che ci è stata data» e «secondo la proporzione
della nostra fede» (v. 6). Inoltre, più che ricerca della propria identità
(«concetto giusto»), dovremmo esercitarci alla sottomissione e
all’ubbidienza a Dio e all’essere esecutori della Parola; allora avremo anche le
idee più chiare sulla nostra identità... anche quando il mondo ci è
contro. «Se uno patisce come cristiano, non se ne vergogni, ma glorifichi
Dio, portando questo nome» (1 Pt 4,16).
3. Aspetti conclusivi
La nostra identità o la concezione di noi
stessi non può partire da noi stessi, non può avere noi stessi come centro e
oggetto, né può cristallizzarsi in una definizione di ciò, che siamo. Noi
possiamo definirci di volta in volta, ma mai in modo definitivo, e
possiamo farlo soltanto rispetto ad altri parametri. Per ritornare a Romani 12,
possiamo definirci rispetto a Dio, rispetto al mondo e rispetto al corpo di
Cristo (in generale) e alle singole membra (in particolare). Solo agendo in
modo «giusto» verso di loro, capiremo in modo «sobrio» chi siamo noi
veramente. Come un generale mostra di che stoffa è fatto sul campo, così anche i
cristiani biblici diventano consapevoli e mostrano chi essi sono veramente,
diventando esecutori della volontà di Dio in corrispondenza della facoltà
morali e spirituali, che posseggono.
►
Identità e valutazione corretta di sé? Parliamone {Nicola Martella} (T)
►
Autostima e immagine di Dio {Nicola Martella} (A)
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Autostima e immagine di Dio? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://diakrisis.altervista.org/_Cres/A1-Identita_valutarsi_Ori.htm
07-07-2012; Aggiornamento:
11-07-2012 |