Nicola Martella, La lieve danza delle
tenebre (Veritas, Roma 1992).
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Descrizione, Prefazione, Recensione, Studio critico,
Testimonianza)
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Crociata del Libro Cristiano:
«Il libro
non è destinato a persone
impressionabili, ma a chi si rende
già conto della realtà del Maligno e
vuole trovare un rimedio a
situazioni incresciose. Vuole essere
anche una denuncia e un tentativo di
sensibilizzazione contro le potenze
dell’occulto. D’altronde ogni
cristiano è chiamato a questo, per
lo meno colui che non è fossilizzato
in un cristianesimo secolarizzato,
ingannato, bigotto, ottuso e
mondano, ma cerca di vivere seguendo
la Bibbia e gli insegnamenti in essa
contenuti».
«Lo scopo di questo libro è quello di far prendere
coscienza del problema, per
denunciarne, con grande senso di
responsabilità, la sua malefica
potenza».
{Dalla pubblicità; CLC}
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Luigi Dettori:
Mentre guardo una colomba
volteggiare nel cielo, una bianca
piuma se ne stacca; e questa sembra
galleggiare nel vuoto. Chi è più
leggero? L’uccello o la piuma?
L’uccello è più leggero, perché
danza nell’aria vincendo la
forza di gravità. L’uccello, nella
sua danza, compie un
autentico sforzo, proprio come una
danzatrice spende energie per
slanciarsi leggera, seguendo il suo
ritmo. La piuma, invece, è costretta
a scendere in basso attratta dalla
forza di gravità.
Nel dialogo l’âme
et la danse («L’anima e la
danza»)
di Paul Valery, Fedro
ammette che si vive di menzogna.
Questa è un espediente per poter
affrontare gli altri individui, i
quali non sono in grado di
sopportare l’asprezza della realtà.
La menzogna viene somministrata al
malato insieme con le pillole. La
vita dell’individuo è costruita con
abitudini particolari che danno un
certo tipo di stabilità
psicologica. Se si introduce la
verità, l’abitudine si interrompe
bruscamente. Due coniugi sono
convinti del loro amore, ma può
succedere che l’affetto di uno dei
due possa diminuire. Allora si
ricorre alla menzogna per evitare di
provocare un infarto. L’esistenza
diventa cupa, quando l’uomo scopre
le verità che lo riguardano. Così,
la danza funge da maschera
sul senso della realtà. Perché
questa deve essere mascherata? Il
Socrate di Valery risponde: «Perché
la realtà non può ammettere di
essere vista!». Togliere la maschera
sarebbe un rimedio? Ciò produrrebbe
una malattia inafferrabile, la
depressione, che può degenerare in
quello che in psichiatria viene
definito taedium vitae.
Questa noia della vita, la noia
totale, ti assale quando tu ci
vedi chiaro, quando ai tuoi
occhi i contorni della realtà
appaiono netti. Un uomo volle
mettere fine alla sua
chiaroveggenza precipitandosi
nelle acque di un porto. E, mentre i
sommozzatori si prodigavano a
salvarlo, lui, agonizzante, con le
mani faceva segno di no! Quando la
verità del mondo si manifesta, per
evitare il taedium vitae è
necessaria la danza. La danza ti
sottrae alla malefica attrazione
esercitata dalla depressione come
sottrae l’uccello alla forza di
gravità. Sembra invidiabile, quindi,
la leggerezza dell’uccello,
non quella della piuma!
L’uomo non può
tollerare di stare a contatto con sé
stesso, a contatto con la realtà.
Vuole schizzare fuori di sé. Allora
cerca l’avventura. Ma, per uscire
fuori di sé, si abbandona
all’ebbrezza prodotta dalla volontà
che si realizza quando egli
vuole. Allora ricorre a
un’ubriacatura di alcol, di sesso,
di musica, di poesia, di bellezza,
di odio, di amore. Noi siamo
proiettati fuori dalla contingenza:
desideri, rimpianti, memorie…
L’anima si prodiga verso l’esterno.
Così avviene nella danza. Il corpo
cerca di sfuggire in varie
direzioni: s’innalza, s’incurva, si
piega… È un corpo che cerca di
sfuggire a sé stesso. Anche l’anima
cerca di sfuggire a sé stessa, alla
propria realtà, ad esempio quando si
proietta nel futuro o nel passato.
Noi chiediamo alla
nostra anima e al nostro corpo
quello che non possono dare. Siamo
pieni di desideri. Nella danza il
corpo mima i desideri dell’anima.
Schopenhauer ha detto che siamo
caratterizzati da una ribollente
volontà. Se potessimo vedere in
faccia la volontà del nostro
essere, ne resteremmo terrorizzati!
Siamo macchine che vogliono,
macchine da desideri. Il
desiderio è la vera, terribile
situazione di sofferenza. Il nostro
è tutto un mondo finto per
nascondere l’intima volontà
dell’individuo. Allora… danziamo.
Ebbrezza come principio dionisiaco.
Capacità di danzare equivale
a non credere a niente, credere a
tutto, giocare con gli oggetti,
assenza di serietà. Danzare è
l’emblema di leggerezza: la
leggerezza dell’uccello, non quella
della piuma. Danzare è il massimo
del rifiuto e della ragionevolezza.
Nietzsche, grande maestro della
filosofia del sospetto, attacca il
cristianesimo, perché questo avrebbe
avvilito l’uomo e avrebbe distrutto
la fiducia in sé stessi con
insegnamenti di questo tipo: «Chi
vorrà salvare la sua vita, la
perderà» (Matteo 16:25). Per lui,
l’uomo deve essere liberato dalla
morale della colpa, del sacrificio e
del perdono. Questi concetti
sarebbero psicologia avvilita,
da sconfiggere con la sua danza,
cioè contrapponendo a quella il mito
pagano di volontà di potenza, per
darsi gioia e vitalità. Ma, chi ha
detto che la debolezza sia un male?
La nostra società. L’opinione comune
dice: «Forte è bello.
Debole è cattivo». Se il bambino
viene picchiato da altri bambini, i
genitori lo incitano a usare la
violenza. Nella cultura occidentale
la «potenza» è tutto. Dietro i
valori della nostra società c’è il
bisogno di emergere, la volontà di
potenza.
C’è nella danza una
forte volontà di esprimersi, con
muscoli contratti per creare quel
preciso movimento e disegnare, così,
un’idealizzata figura di libertà.
Poi, alla fase attiva dello
sforzo segue una fase passiva
che potremmo definire atteggiamento
estatico. La parola «estasi»
è stata inventata nel IV secolo a.C.
e indica anomalia fisiologica.
Nella terminologia di Ippocrate ha
il significato di «stiramento degli
arti» e «pazzia». Quindi si tratta
di un movimento «alterato»,
«eccessivo». Plotino, personaggio
emblematico del neoplatonismo,
intende l’«estasi» come condizione
di ascesi. Nel corso dell’esperienza
estatica si verifica, dopo una fase
iniziale di concentrazione, un’altra
fase con annullamento della propria
individualità. Così, infatti, il
mistico perde sé stesso per
immergersi nel suo oggetto di
contemplazione. Nell’estasi, dunque,
almeno nella sua fase iniziale che
precede quella passiva, c’è uno
sforzo prodotto da volontà umana, da
«muscoli che si contraggono», nel
tentativo di innalzarsi fino a Dio.
Il pessimismo di
Nietzsche conclude così: il mondo è
falso e allora… danziamo! Ma
quale danza? Una danza che lo
porterà alla pazzia, fino ad
abbracciare un cavallo, scambiandolo
per una persona! L’anima giace, è
prostrata sotto il peso del peccato.
Non è libera. Essa è impacciata nei
suoi movimenti per il peccato che
così facilmente ci avvolge. L’uomo è
senza luce, come uno schiavo
segregato in un buio carcere
sotterraneo. Quale danza potrebbe
mai danzare? Essa non sarebbe altro
che la danza delle tenebre,
seppur lieve… della
leggerezza dell’uccello contrapposta
a quella della piuma. Una danza che
funge da maschera della realtà, in
cui la menzogna viene eretta a
sistema di vita, in nome… della
paura della verità. Tale danza è
pervasa da volontà di potenza non
accompagnata dall’amore e dalla
verità. Poi, nella sua estasi, nel
suo tentativo di giungere a Dio,
l’individuo perde di colpo quella
volontà di potenza, si svuota di sé,
della sua personalità, e un dio
falso si fa adorare in luogo del Dio
creatore. Una danza così concepita è
un falso vangelo, una
tenebrosa danza di morte che si
concluderà nello stagno di fuoco e
di zolfo.
Questo libro, che ha
come titolo La lieve danza delle
tenebre, mette in guardia il
Lettore contro il ritmo diabolico,
apparentemente impercettibile, che
pervade la superstizione,
l’astrologia, la parapsicologia e le
scienze occulte in generale. Inoltre
denuncia con forza le potenze
diaboliche e i loro messaggi di
morte. Ma, allo stesso tempo, si
prende anche cura di far conoscere
Gesù Cristo, il redentore.
L’Autore parte da un presupposto
chiaramente biblico, e la sua opera
risulta divisa in tre sezioni
secondo uno schema logico. Nella
prima parte affronta il problema da
un punto di vista generale e
sociale, mostrando i pericoli
dell’occultismo per la salute
psichica dell’individuo e della
società. Nella seconda parte, tratta
l’occultismo nelle sue diverse
forme, facendone un’analisi da un
punto di vista storico, razionale e
morale. Infine, nell’ultima parte,
l’Autore riprende le tematiche delle
prime due sezioni e le assoggetta a
un’analisi spirituale, usando come
criterio le sacre Scritture, e
mostrando la contrapposizione netta
fra le concezioni occultistiche e la
Verità, rivelata nella
Bibbia, specialmente alla luce
dell’evento cristologico». {Dalla
prefazione}
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Claudia Ciccarelli:
Un grazie di cuore a Nicola Martella. Sto leggendo «La
lieve danza delle tenebre»... che Gesù Strabenedica la
tua vita. Con affetto… Claudia Ciccarelli — Chiesa
Cristiana di Follonica (GR). {05-08-07}
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Paola Sandionigi:
Potrei cominciare col farLe tanti complimenti,
col dirLe che «La lieve danza delle tenebre» è scritta
egregiamente, scorrevole e soprattutto è il risultato
d’uno studio approfondito e dettagliato. Le direi solo
la verità perché non sfugge al lettore la sua conoscenza
dell’argomento. {Direttrice de «La Goccia Briantea»;
3 maggio 2009}
A me interessa molto l’argomento occultismo e fede... I suoi libri sono stupendi, li ho letti e riletti e sono stati anche argomento d’approfondimento da parte mia.
{4 maggio 2009}
E ti assicuro che il tuo libro «La lieve danza delle tenebre» è qualcosa di unico, un approfondimento preciso e dettagliato. {31 maggio 2009}
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Ricordiamo che ognuno può mandare la recensione di un libro
da lui letto o anche solo le sue osservazioni al riguardo.
Tutto ciò rispecchia esclusivamente le convinzioni di chi si
esprime e non necessariamente quelle
della redazione di «Fede controcorrente» sull’argomento.
► URL:
http://diakrisis.altervista.org/Rez/1-Lieve_Danza-Oc.htm
15-04-2011;
Aggiornamento:
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